MAY SCONFIGGE L’OPPOSIZIONE INTERNA, MA E’ APPENA INIZIATA LA GUERRA DELLA BREXIT

MAY SCONFIGGE L’OPPOSIZIONE INTERNA, MA E’ APPENA INIZIATA LA GUERRA DELLA BREXIT

Apparentemente è un successo, se non un trionfo. La mozione di sfiducia contro la May, dentro al partito dei conservatori si conclude con una disfatta della opposizione interna. 200 voti per lei su 317 aventi diritto. Addirittura uno in più di quanti ottenuti ai tempi del suo insediamento dopo le dimissioni di Cameron. Ma i numeri non possono nascondere una realtà dai significati ben diversi dalle semplici apparenze. In primo luogo la vittoria è stata ottenuta grazie ad una sorta di resa anticipata. Theresa ha promesso di andarsene quanto prima, nel 2022 se non nei prossimi mesi, appena passata in parlamento, se passa, la sua proposta concordata a Bruxelles. Inoltre molti sostenitori della Brexit hard sono stati convinti al voto favorevole dal fatto che una loro vittoria sarebbe stata controproducente. Nell’attesa della nomina di un nuovo leader dei conservatori vale a dire, per la legge britannica, di un nuovo premier, la discussione sulla Brexit sarebbe stata messa nel freezer per almeno un paio di mesi e questo era visto con sospetto dai sostenitori dell’uscita dura e pura. Infine, punto fondamentale, a dispetto di quanto molti hanno inteso, questo non era un voto di fiducia/sfiducia al governo e neppure un voto del parlamento su Brexit sì/ Brexit no. Si è trattato solamente di un affare interno ai conservatori che lascia intatti gli ostacoli relativi al passaggio alla Camera Bassa di Londra dell’accordo raggiunto dalla May a Bruxelles. Tra l’altro, per sfiduciare formalmente un governo, nel Regno Unito, occorrerebbe una maggioranza dei 2/3 che qui non è mai stata in discussione. Quello di cui si discute è il passaggio della Proposta May: se passa il governo va avanti, se non passa, sfiducia o no, sarebbe la paralisi, con un possibile nuovo ricorso alle urne. Dunque si può solamente dire che la May ha vinto, sia pure nettamente, una battaglia, ma ad un prezzo elevatissimo che pregiudica il suo futuro politico. Quanto alla “guerra” i problemi sul tavolo restano irrisolti e il rinvio della confronto parlamentare, che si doveva tenere ieri, non cancella il problema di trovare una maggioranza disposta a far passare gli accordi di Bruxelles. Stiamo ai numeri: la maggioranza dell’attuale governo si basa sul consenso dei conservatori (tutti, nessuno escluso) e dei nordirlandesi del Dup (pochi ma decisivi). Il tutto determina una maggioranza di due soli voti. Che tutti i conservatori si dimostrino ligi alla disciplina di partito, soprattutto i sostenitori della linea di una Brexit più dura, appare opinabile. Ma è soprattutto l’atteggiamento ostile dei nordirlandesi che induce al pessimismo la premier. Un no deciso e reiterato a una proposta che lascerebbe di fatto per qualche tempo (o per sempre), Belfast nell’Unione, sempre meno vicini all’amata Londra e sempre più subordinati all’odiata Dublino. Quasi scontato che il margine di “due voti due” dell’attuale coalizione andrebbe in fumo, se si dovesse contare solo sui sostenitori ufficiali dell’attuale governo. Ipotesi alternativa: andare a racimolare i voti mancanti all’interno della opposizione laburista, paradossalmente proprio tra coloro che in quel partito hanno votato per il remain. Ipotesi credibile? Mica tanto. Proprio adesso che una sconfitta del governo riaprirebbe i giochi, con la possibilità di nuove elezioni e magari di un nuovo referendum, che i sondaggi danno più incerto che mai e che potrebbe vedere il rientro del Regno Unito nei ranghi Ue. Vinta la battaglia la guerra continua e le possibilità che la May la possa vincere non sono cresciute di una virgola.