MOAS: VIA DA QUESTO MARE

MOAS: VIA DA QUESTO MARE

Con una decisione sofferta, non facile una delle maggiori ong impegnate nel Mediterraneo, MOAS, si vede costretta ad abbandonare l’impegno a salvare le vite in mare, di chi lascia la costa africana. La Migrant Offshore Aid Station (MOAS) è una organizzazione non governativa specializzata nella ricerca e soccorso, fondata dagli imprenditori italo-americani Christopher Catrambone e Regina Catrambone nel 2014, poche settimane dopo la tragedia di Lampedusa, quando morirono oltre 300 migranti nel naufragio di un barcone.Tra agosto di quell’anno e ottobre 2015 MOAS aveva già salvato oltre 14.000 persone nel Mar Mediterraneo, impiegando per queste operazioni una nave da 40 metri la Phoenix.Nave che poi ha operato in questi ultimi mesi anche nelle operazioni SAR e che proprio in queste ore cambierà rotta.La ong che pure è stata oggetto di dubbi, non provati, di una etica finanziaria non proprio limpida, gode fra l’altro del supporto e del sostegno di molti esponenti della cultura e dello spettacolo, fra questi il cantante dei Coldplay, Chris Martin, che aveva regalato a MOAS una sua famosa performance a cappella del brano Don’t Panic che aveva invaso il modo dei media, ha avuto da dichiarare anche: “Siamo orgogliosi di sostenere il Moas e il suo prezioso sforzo per salvare tantissime persone”.Quello di MOAS e’ dunque secondo le proprie intenzioni un progetto che vuole offrirsi “come mano tesa in mare per aiutare chi fuggendo da violenze, persecuzioni e povertà è costretto ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli a causa della mancanza di vie sicure e legali”. Al centro della missione Moas ci sono sempre state le persone: persone che sognano una vita migliore al sicuro e persone che le assistono con assoluta dedizione per non farle morire in mare.L’organizzazione opera anche nel Mar Egeo e nel Sudest Asiatico. Ma era fino ad oggi il Canale di Sicilia, il tratto di mare che vedeva la Phoenix impegnata, con le navi delle altre ong, nelle operazioni di salvataggio più complesse. Durante solo le missioni del 2017, iniziate lo scorso aprile, Moas aveva salvato e assistito 7.826 vite umane. Fra queste 2.820 solo nel mese di aprile quando aveva affrontato un impegno senza precedenti. Il protocollo di comportamenti imposto nelle ultime settimane ha però comportato un deciso cambio di strategia facendo emergere molte domande senza risposta e forti dubbi in merito al destino di chi rimane intrappolato sulle coste, nel deserto o viene riportato in Libia.Ci sono state a questo proposito terribili testimonianze di chi sopravvive che raccontano un inferno di abusi, violenze, torture, rapimenti ed estorsioni.MOAS, consapevole di ciò, a questo punto ha deciso di non voler: “diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri. Perché non si dà priorità a chi merita protezione, ma si pensa solo a evitare che le persone arrivino sulle coste europee senza chiedersi quale destino le aspetti”.Dunque non sapendo: “cosa succede in Libia ai danni delle persone più vulnerabili i cui diritti andrebbero salvaguardati in ottemperanza al Diritto internazionale e per difendere il principio di umanità. Pertanto, abbiamo deciso di sospendere la nostra missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo”, denuncia il comunicato di MOAS che illustra una scelta non facile ma obbligata dal nuovo approccio imposto dalle istituzioni italiane ed europee.Quella di MOAS non è una resa, una ritirata, ma un nuovo riallineamento dell’impegno su versanti dove si possa operare in condizioni meno contrastate.Per questo motivo, vista la crescente instabilità nel Mar Mediterraneo e la catastrofe umanitaria ai danni della minoranza Rohingya, nel suo terzo anniversario Moas ha deciso di riposizionare l’imbarcazione Phoenix nel Sud-Est asiatico, precisamente nel Golfo del Bengala, per fornire assistenza ed aiuti umanitari. Attualmente è in corso un esodo mortale alla frontiera fra Bangladesh e Myanmar. Solo nei giorni scorsi, migliaia di Rohingya sono fuggiti nel vicino Bangladesh per mettersi al riparo dalle violenze in Myanmar. Molti sono morti durante la fuga e c’è sempre più bisogno di aiuti umanitari. I Rohingya vengono definiti “la minoranza più perseguitata al mondo” dalle Nazioni Unite, sono oggetto di una crescente ondata di violenza e hanno bisogno di assistenza umanitaria. Il 27 agosto lo stesso Papa Francesco ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale affinché sostenga i nostri fratelli e sorelle Rohingya e si metta fine a scontri interni e persecuzioni. Una minoranza e’ bene ricordare di religione musulmana.