STATI GENERALI. DA VILLA PAMPHILJ UNA LINEA PER IL FUTURO

STATI GENERALI. DA VILLA PAMPHILJ UNA LINEA PER IL FUTURO

Si tratti di fumo o di arrosto, di tre giorni o di tre settimane, gli Stati generali dell’economia potrebbero essere – e certamente lo sono nelle intenzioni del premier Conte –  un utile confronto a porte chiuse tra governanti, politici e parti sociali. Con l’intento di darsi una linea per il futuro. Assistiti, ha precisato il premier, da qualche “mente brillante”. Confortati, in diretta video, dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. In modo da definire meglio la fase tre e l’impiego dei cospicui fondi a disposizione. Un confronto decisivo, dunque, per il Recovery Plan e per avviare il Paese a scelte importanti di politica economica come quelle finora scansate. Nel contesto solenne e ambizioso di Villa Pamphilj, Giuseppe Conte potrebbe far valere quelle capacità di mediatore che oggi tutti, a partire da lui medesimo, gli riconoscono. Se il confronto fallisse sarà allora perché questa volta da mediare c’è poco, anzi pochissimo. La scelta, non più rinviabile, è tra una nuova normalità, quella svolta a suo tempo annunciata da Zingaretti e dalla sinistra ma finora neppure avviata, e un restyling del vecchio sistema duramente sconfitto dal cambiamento climatico, dall’esplodere delle disuguaglianze e ora infine dalla pandemia. L’avvio delle riforme più urgenti per garantire a un Paese logorato da decenni di neoliberismo l’avvio di un’autentica giustizia sociale, fiscale e ambientale. O in alternativa quella riverniciatura di efficientismo e di apparente meritocrazia che si legge in gran parte delle proposte tecniche consegnate al Presidente del Consiglio dalla task force guidata da Vittorio Colao. Matteo Renzi, il quale vi avrebbe letto tra l’altro un via libera allo sblocco del codice degli appalti, sembra sia andato addirittura in estasi. Seguito a ruota dal capogruppo renziano al Senato del PD, Andrea Marcucci, che ha invitato il governo a far subito proprio l’intero Piano. Ma “non abbiamo tempo per superare il codice degli appalti”- ha dichiarato invece Giuseppe Conte a Tommaso Ciriaco della Repubblica – servono norme sui bandi di gara per far partire gli appalti di questa estate”. Morotea e significativa anche la risposta del Premier sulla riproposizione del Ponte sullo Stretto: “Sono favorevole a tutto ciò che ha una razionalità economica, che risponde all’interesse generale e fa bene al Paese. Quindi ragionare oggi del Ponte sullo Stretto è una fuga in avanti”. Infine, alla domanda se il Piano di Colao non si sovrapponga al progetto del Governo, Conte ha risposto: “No, perché non è un piano di rilancio politico. Sono delle schede di lavoro. Gli esperti hanno fatto un grandissimo lavoro”. Il nostro Premier ama definirsi persona “che non riesce a lavorare senza una strategia”. Non resta allora che contare su questa apparente determinazione. Sperare che sulla “minaccia” annunciata dal presidente della Confindustria Carlo Bonomi (“arriveremo con le nostre proposte”) prevalga la resistenza dei rappresentanti dei lavoratori, a cominciare dalla CGIL di Maurizio Landini. Accanto alla voglia di cambiamento della sinistra Leu, che purtroppo ha poco peso, dei democratici e dei Cinque Stelle, gli uni e gli altri però tutt’altro che compatti. Purtroppo non è facile conciliare la coerenza di riforme radicali con l’appello alla coesione riformulato anche di recente dal Presidente della Repubblica Mattarella. Servirebbe forse una maggiore spinta da parte dell’opinione pubblica, come quella manifestata meno di un anno fa dalle piazze affollate dalle Sardine. Ma lo stesso segretario del PD Zingaretti, dopo aver categoricamente affermato che “serve una linea. Guai a sbagliare ora”, ha sentito il bisogno di aggiungere che “il confronto va esteso a tutte le forze democratiche disponibili”. Figuriamoci. Non aveva finito di dirlo che le destre, all’unanimità, annunciavano il loro rifiuto. “I confronti si fanno in Parlamento”, hanno detto questi nuovi paladini della Costituzione. Giustissimo, per carità. Sappiamo bene però quanto può pesare, nel Parlamento come nell’elettorato attuale, l’effetto mediatico delle prese di posizione. Non è meglio allora che le proposte del governo giungano nelle sedi istituzionali deputate a discuterle ed approvarle soltanto dopo un’adeguata ponderazione e con il massimo di autorevolezza possibile? A proposito di autorevolezza e coesione, tra gli invitati a Villa Pamphilj non dovrebbe mancare – e forse non mancherà – un politologo di valore come l’ex ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca. Il quale, nel suo ultimo libro “Un futuro più giusto”, sostiene che chi vuole mettere al centro lagiustizia sociale e ambientalenon può che perseguire “questi obiettivi modificando gli equilibri di potere e i dispositivi che producono le disuguaglianze, orientando il cambiamento tecnologico digitale, creando spazi di confronto acceso, aperto e informato. Dove lavoro e società civile possano pesare sulle scelte strategiche, territorio per territorio”. Producendo quindi “un salto di qualità delpubblicoe delle sue amministrazioni capace di ricostruire fiducia”. Già, tutto questo richiede risorse. “Chi, secondo lei, deve pagare? “, hanno chiesto domenica scorsa dal quotidiano La Repubblica al grande economista francese Thomas Piketty. Il quale ha risposto: “è la domanda fondamentale che molti governi eludono. Sarebbe bello pensare che nessuno, alla fine, dovrà fare sacrifici. Non è vero. Se guardiamo alle crisi del passato, ci sono due ipotesi. Si può creare inflazione, che significa far pagare le classi meno abbienti e piccoli risparmiatori. O si può far contribuire le persone con i più alti redditi e patrimoni attraverso aliquote progressive. In molti paesi d’Europa c’è già una maggioranza di cittadini favorevole a una patrimoniale. I governi ora non vogliono parlarne ma saranno costretti a farlo nei prossimi mesi”. Ecco, non sarebbe male che tra le “menti brillanti” invitate agli Stati Generali ci fosse anche Thomas Piketty.