CON ZEFFIRELLI NELLA SUA REGGIA FAVOLOSA, PARLANDO E SPARLANDO

CON ZEFFIRELLI NELLA SUA REGGIA FAVOLOSA, PARLANDO E SPARLANDO

Esattamente un anno orsono, il 16 giugno 2019, moriva Franco Zeffirelli. Mi fa piacere ricordarlo con l’intervista che gli feci tanto tempo fa e che segnò l’inizio della nostra amicizia. Fu pubblicata dalla Domenica del Corriere il 30 Ottobre 1982. ESCLUSIVO – CON ZEFFIRELLI NELLA SUA REGGIA FAVOLOSA, PARLANDO E SPARLANDORibelle e imprevedibile come sempre, l’autore di Romeo e Giulietta riaccende vecchie polemiche e ne innesca di nuove. Del film La Traviata, che vedremo a Natale, dice: “Sarà un capolavoro”Di Paolo Di Mizio “Il mio film che esce a Natale, La Traviata, è semplicementesbalorditivo, segnerà una rivoluzione nel cinema, al pari di quanto fece il Romeo e Giulietta. In quanto al prossimo, si chiamerà I fiorentini e ti assicuro che sarà la più magica, la più bella di tutte le mie opere”. Franco Zeffirelli non ha paura di azzardare previsioni. Non ne ha mai avuta e, quando ha sbagliato, ha sempre pagato di persona. Audace, ribelle, anticonformista, timido, fanciullesco, sensibile, colto, vulnerabile, tagliente, questo regista carico di difetti e di virtù è il vero Don Chisciotte dei nostri giorni. A lui preme solo di raddrizzare i torti e riparare alle ingiustizie, e per questo nell’intervista che ci ha concesso, o meglio in questa specie di grande ritratto di sé e del mondo, non risparmia polemiche. Anzi, per l’occasione ne resuscita di vecchie e ne sfodera di nuove: se la prende con Garibaldi e i Beatles, fa a pezzi Pasolini e il festival di Venezia. Il pretesto per andare a trovarlo e indurlo a menare colpi di spadone a destra e a manca è il compimento dei lavori di quella vera perla del Mediterraneo che è la sua villa di Positano, In verità non si tratta di una sola villa, ma di tre case costruite in fasi distinte nel corso degli ultimi dodici anni, l’una ai piedi dell’altra, come una sontuosa gradinata che scende verso il mare. L’ultimo dei tre “gradini” è ora appena terminato. Lo stesso Zeffirelli, in maglietta e blue-jeans, ha aiutato gli operai a lucidare, imbiancare, attaccare mattonelle. La costruzione è abbarbicata sugli scogli, seminascosta dalla vegetazione, ricca di terrazze, orti e limoni. Una rivista internazionale l’ha definita la più bella villa del Mediterraneo e una delle dieci case più belle del mondo. Zeffirelli, l’abitazione è anche indice di un modo di vivere. La tua vila è mediterranea, solare, aperta. Le case nordiche sono invece più raccolte, più intime.“Ah, guarda, io detesto il freddo, il nord. Non sopporto il vento, il gelo, il mal di gola, i raffreddori. Negli ultimi anni della mia vita, se ne avrò la forza e la fortuna, vorrei viaggiare il mondo inseguendo continuamente la primavera e l’estate. Anzi, voglio andare ad abitare a Timbuctù!” Ma non dovevi trasferirti in Tunisia?“Ho già la residenza in Tunisia e possiedo anche una casa, dove vado spesso, almeno due volte al mese. Perché? Perché lì c’è la mia società di produzione, quella che ha finanziato La Traviata.” E il tuo prossimo film, I fiorentini, a che punto è?“Sto scrivendo la sceneggiatura con Christopher Hampton, uno dei più brillanti commediografi usciti dal Royal Court e dal National Theatre. Si è innamorato del materiale che io avevo redatto come primo abbozzo per un grande romanzo. Ho scritto 600 pagine e un giorno, se troverò tempo e bravura, vorrei proprio terminare questo benedetto libro. È un’idea che mi segue e perseguita da molti anni, al punto che vivo con l’impressione di aver conosciuto davvero i fiorentini del ‘400. La storia è ambientata appunto tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, quando Firenze viveva anni magici, irripetibili. Un giovane, in quei giorni, apriva gli occhi e si trovava nella più straordinaria città del mondo, una città dove accadeva di tutto. Pensa che a cavallo tra il ‘400 e il ‘500, subito dopo la cacciata dei Medici e del Savonarola, Firenze sperimentò la prima vera repubblica popolare e sociale della storia. Con quella formula, Firenze, se non fosse stata schiacciata dai papi, dagli imperatori, dai Medici che ritornarono, avrebbe cambiato il destino del mondo. Non ci sarebbero più state le egemonie di re, duchi, papi e imperatori. Il mondo sarebbe stato retto da repubbliche popolari!” Quindi, se tu potessi vivere in un’altra epoca, sceglieresti il ‘400 fiorentino?“Senza dubbio. Anzi, sceglierei proprio il periodo che racconto nel mio film, dal 1490 al 1513, vent’anni meravigliosi. Tanto per cominciare, era il momento della scoperta dell’America e tutti i navigatori, a parte Colombo, erano fiorentini: Vespucci, da Verrazzano… E poi a Firenze in quegli anni c’erano tutti: Leonardo, Michelangelo e via dicendo.” Tu rivendichi una parentela con Leonardo.“Una discendenza remota. Mio padre sosteneva, anzi mi ha dimostrato, che una sua antenata era una prozia di Leonardo, Che vuoi, Leonardo non si può non ammirarlo: ha inventato la rivoluzione industriale con secoli di anticipo: ha inventato il volo umano, l’elica, la bicicletta perfino.” Leonardo finì esule. Non è per fare paralleli artificiosi, ma anche tu sei stato costretto a lavorare a lungo all’estero. Poiquando tornasti dall’Inghilterra con la fama di essere il più grande regista shakespeariano vivente, qui da noi ti trovasti tutti contro. Ennio Flaiano ti prese in giro, ribattezzandoti Scespirelli. E così cominciò la tua polemica con l’Italia.“Con certa Italia. Con certa Italia che poi i fatti hanno dimostrato quanto fosse imbelle e imbecille: tutta gente che oggi ha cambiato completamente posizione. Era l’Italia del radicalismo sciocco e chic: per una boutade di spirito si mandavano a monte gli sforzi e la buona volontà di tantepersone. Era il paese del cinismo, della strafottenza.” Forse un’Italia anche un po’ provinciale?“Mah, questo non lo posso dire, perché anche in Inghilterra c’era la stessa razza di galletti schiamazzanti. Ma lì, grazie a Dio, arrivava poi un gallo più grosso e con una zampata li metteva a tacere. In Italia, invece, l’opinione era fatta solo dai galletti urlanti. Chi gridava di più, aveva sempre ragione.” Vuoi dire che da noi mancavano dei personaggi autorevoli?“No, non parlo di persone, parlo di opinioni. In Francia, per esempio, c’è un giornale, Le Figaro, intorno al quale si raccoglie il grosso dell’opinione pubblica. E questa fa da argine alle punte estreme. Lo stesso avveniva in Inghilterra. Ma in Italia chi faceva da argine? Giusto il povero Indro Montanelli, da solo! Tutti gli altri si buttavano a sinistra, verso il marxismo ma solo per paura di rimanere fuori dalla scena del momento. Era così nelle università, nella cultura, dappertutto.” E tu, invece, politicamente che cosa sei?“Io sono un liberale mazziniano. Ho sempre considerato la monarchia savoiarda come la più grande iattura della nostra storia e, secondo me, Garibaldi e Cavour ci hanno rimandato indietro di cento anni. Ma, vedi, il fatto diabolico è che molti dei galletti di dieci o quindici anni fa erano stati liberali anche loro, ma poi erano passato all’altra sponda. Perché chi aveva idee moderate a un certo punto se ne vergognava come fossero la peste.” Tornando a te, quando sei andato in Inghilterra eri ancora giovane e hai subito diretto la Lucia di Lammermoor al Covent Garden. Come sei riuscito a farti aprire le porte di un teatro così importante?“Guarda che ero giovane, ma ero già stato a Dallas con la Callas, tre anni in America, poi a Tel Aviv… sono andato a Londra e lì sono esploso soprattutto con il Romeo e Giulietta all’Old Vic, che è stato uno degli spettacoli di maggiore successo del dopoguerra. Ma intendiamoci: solo un successo di pubblico, perché fui stroncato ferocemente da sette critici su otto. L’ottavo però, che valeva più di tutti gli altri messi insieme, disse: “Signori, vi sbagliate. Qui siamo di fronte a una rivoluzione o come minimo a una rivelazione”. Poi feci Molto rumore per nulla di Shakespeare, che fu forse lo spettacolo più esplosivo di tutti i tempi per i palcoscenici inglesi. Ma non ti dico cosa scrissero i critici: mi menarono giù botte, botte da orbi!” Hai dichiarato tante volte che emigrasti perché in Italia ti si impediva di lavorare. Come andarono esattamente le cose?“Come andarono… Io avevo lavorato con Visconti, che come sai ruotava nell’orbita comunista. Io non ero comunista, né ero disposto ad abdicare a certi principi nei quali credevo, Così, ad un certo punto, il “gruppo Visconti” (non tanto lui in persona quanto i suoi sottopanza) mi si rivoltò contro e per me diventò letteralmente impossibile lavorare in Italia. Non mi rimaneva che andare all’estero.” Tu ti scagli contro il clima marxisteggiante che imperava in quegli anni in Italia. Però la contestazione non era tutta marxista e non era solo italiana: si assisteva a un fenomeno mondiale di rivolta giovanile, iniziata con la musica dei Beatles. Ecco, tu che ami la musica lirica, che cosa pensi dei Beatles?“I Beatles mi sorpresero poco. Con il dovuto rispetto per loro e per l’Inghilterra, tutto quel movimento era già cominciato in America molto prima, sia come musica, con i Beach Boys, i Wild Ones, sia come contestazione, con James Dean, che fu il primo arrabbiato, vent’anni prima dei Beatles.” Comunque, è difficile negare che la musica dei Beatles abbia veramente iniziato un’era e che contenga dei valori artistici durevoli. Molte loro canzoni sono già considerate dei classici.“Ma sì, hanno scritto due… no, quattro o cinque brani che rimangono, che rimarranno, non c’è problema. Però tutta questa rivoluzione dei Beatles io l’ho trovata sempre storicamente immeritata. È vero che hanno avuto un enorme effetto sui giovani di tutto il mondo, ma ciò è servito solo a creare questo movimento internazionale subculturale fatto di tutta quella roba… ne abbiamo viste tante, che non se ne può più. È ora che qualcuno inventi qualcosa di diverso.” Eppure tra i giovani c’è un revival della musica degli anni ’60.“Sì, già, ma le cose che a quel tempo avevano una carica dirompente oggi sono spente, svuotate. Questi poveri ragazzi di adesso si ritrovano in eredità soltanto una serie di prêt-à-porter mentali: certi modi di pensare, di parlare, di vestirsi, perfino di camminare. Ma non c’è più la carica, l’aggressività che c’era negli anni ’60, con il jazz, il rock, la Baez, Simon e Garfunkel, Donovan e tutti gli altri. Infatti adesso i giovani si buttano sul pacifismo, sul privato, sulla malinconia.” Ma tu non ti sei mai sentito un ribelle da ragazzo?“Eccome! Ero un ragazzo irrequieto, esuberante, pieno di vitalità. Non ero certo un conservatore e non lo sono stato fino a quando mi sono accorto che essere ribelli era diventato un conformismo: significava sparare a zero ad ogni costo, significava fare qualunque cosa idiota e scervellata che fosse imposta dalla moda del momento. Allora mi sono ribellato alla ribellione sciocca.” Com’è stata la tua infanzia?“Un’infanzia famigliarmente un po’ pasticciata, perché ho perso mia madre quando ero bambino. Mio padre era sposato con un’altra donna, aveva un’altra famiglia, così dovetti adattarmi a vivere con una zia.” Un’infanzia felice o infelice?“Mah, felice, direi. Un bambino trova il modo di sorridere anche nel Ghetto di Varsavia. Non sono mai stato depresso, malinconico, mai, anche se ne avrei avute le ragioni.” Da bambino pensavi già di diventare famoso? Era questo lo scopo della tua vita?”Ma certo, certo, come no! I sogni di grandezza tutti li abbiamo! Li avevo anch’io.” Ma tu volevi il successo nel senso della fama o dei soldi?“Della bravura! La questione dei soldi non me la ponevo nemmeno. Volevo essere importante, anzi aspiravo a diventare un artista importante. Allora non pensavo che avrei fatto regia. Infatti mi iscrissi all’università alla facoltà di architettura, anche se poi, per mettermi a fare teatro, abbandonai gli studi quando mancavano solo cinque esami alla laurea. Ma in quegli anni d’università ho assorbito l’analisi matematica e la geometria descrittiva, che sono stati utilissimi nel mio lavoro, e credo si veda. Io faccio spettacoli belli perché la mia formazione mi ha permesso di imparare come si costruisce il mio mestiere. Per me è più facile fare uno spettacolo bello che farne uno brutto. Non lo dico per presunzione. È una questione di artigianato.” Molti registi fanno film meno belli, meno preziosi, meno calligrafici dei tuoi. Però nei loro lavori c’è più verità. O almeno così sostengono loro…“Sì, il cinéma verité, Rossellini e gli altri… Loro non hanno mai badato alla forma, ma solo alla sostanza. Anche Chaplin diceva che non importa come si racconta una cosa, purché si sappia cosa raccontare. Ma io non credo che nella mia Giulietta la gente abbia pianto perché il vestito di lei era di un magnifico rosso ricamato d’oro. Ha pianto per una questione di sostanza, perché si è immedesimata nella storia. Che poi quel racconto così popolare, così comunicativo, sia stato presentato in una forma splendida di colori, tanto meglio! Se ho un bel quadro, non capisco perché dovrei mettergli una brutta cornice! Certo, i miei denigratori mi accusano di essere “calligrafico”. Ma la verità è che la calligrafia non ha mai prodotto grandi tirature, come invece fanno i miei film. Semmai, posso ribattere che sono io il vero autore populista, non loro. Io sono l’unico in tutto il mondo che faccia film veramente socialisti. Io racconto storie umane, sociali, pulite, che ridanno dignità all’uomo, che creano gli eroi. Figurati che perfino i russi vanno pazzi per i miei film, anche se non so se pigliarlo come un complimento o no…” Una volta hai detto di avere un intuito infallibile per capire con anticipo quali sono i giusti della gente e quindi sei in grado di fare sempre film che piaceranno. È vero?“È verissimo e i fatti l’hanno dimostrato. L’intuito ce l’ho perché non perdo tempo ad ascoltare gli intellettuali di sinistra che si parlano addosso, ma vo in tram, vo in metropolitana, parlo con la mia donna di servizio, ascolto i discorsi che si fanno in farmacia o dal pizzicagnolo. Mi interesso di quali canzoni sono più gettonate, quali personaggi e quali libri piacciono di più. Insomma, vado in mezzo alla gente semplice, quella che forma il plasma della società, e ne ricavo indicazioni. Talvolta queste sono abominevoli, d’accordo, ma forniscono sempre la direzione verso cui si muove la società. È così che ho inventato il filone dei film d’amore. Alla fine degli anni ’60, che erano anni duri, di denuncia sociale, di risatacce immonde, io sono uscito con il Romeo e Giulietta. Mi dissero subito che ero un pazzo, e infatti gli americani non mi vollero dare una lira: i soldi dovetti cercarli in Inghilterra, facendo debiti. Ma poi quel film ha stravolto il mondo. Perché io avevo capito che i giovani avevano bisogno di piangere per amore, soffrire per amore. Ti faccio un altro esempio: Il campione. Anche con quel film l’ho azzeccata in pieno: perché ho sentito, ho fiutato nell’aria che c’era bisogno di raccontare la storia di un bambino. Sai, quando parlo di successi, intendo successi colossali: Il campione ha incassato 127 miliardi.” È il tuo maggiore successo di pubblico? È anche il film che preferisci?“No, il film più visto è il Gesù: l’hanno guardato 700 milioni di persone in televisione. In quanto al mio preferito, non so… forse ancora il Gesù: è l’opera più piena. Ma non c’è un film perfetto.” E questa Traviata che hai appena finito come sarà?“Ecco. La Traviata segnerà un’altra rivoluzione come fece il Romeo e Giulietta, perché ancora una volta ho intuito che c’era un materiale che non era ancora stato presentato nella maniera adeguata al grande pubblico. La gente andrà a vedere La Traviata e ne rimarrà sorpresa, si accorgerà con immenso piacere che l’opera lirica, un genere finora riservato solo alle élite, in verità può essere messo alla portata di tutti. Non vorrei essere smentito dai fatti, ma non credo, perché difficilmente mi sbaglio.” Hai detto he ti piace andare in mezzo alla gente comune. Ma quali persone frequenti in privato? E che cosa apprezzi di più negli altri, l’intelligenza o la sincerità?“I miei amici sono gente semplice, in genere. Sto volentieri con i giovani, se posso. L’intelligenza… no, non è la virtù dell’uomo che preferisco, anzi le antepongo molte altre qualità. Soprattutto la lealtà.” Sei timido o hai facilità nello stabilire un rapporto con gli altri?“Nel primo approccio con la gente sono abbastanza bravo, me la cavo. Ma poi, nell’approfondimento, appena si va a frugare “nel cuore del cuore”, come dice Shakespeare, sono imbrigliatissimo. Con la gente che non conosco, dopo un po’, non so più di che cosa parlare. E poi mi esprimo male, creo delle confusioni, dico a volte il contrario di quello che vorrei dire, insomma divento impacciato e mi ficco in situazioni imbarazzanti. Ti dirò che mi capita molto spesso di arrossire tremendamente, come un bambino, specialmente se mi colgono in castagna.” Ormai i valori sembrano essersi livellati. Dieci o venti anni fa c’erano quei cinque o sei registi che spiccavano su tutti: Fellini, Antonioni, De Sica, Pasolini…“Ah, no, Pasolini non lo puoi includere. Era una grande poeta, ma un pessimo regista. Non si è mai capito perché abbia abbandonato la poesia, per la quale aveva un grande talento.” Eppure ha fatto anche dei bei film. Per esempio Edipo Re.“Ma no! Io non posso sopportare questa cultura d’accatto, trafugata e camuffata. Mettere insieme Beethoven, Haydn, la Missa creola e Freud, affastellare citazioni una sull’altra alla rinfusa… queste cose non si fanno, non è professionismo. E poi questo poeta che si professava marxista nel suo fondo era un onesto, straordinario conservatore, anzi un borbonico. L’unico suo film decente è Teorema. Ma guarda il Decameron o i Racconti di Canterbury: sono cose orrende.” Se ti riferisci alle scene di nudo, mi sembra che anche tu, specialmente negli ultimi film, non le abbia evitate.“Ma io ho sempre usato il nudo come un momento sublime del rapporto d’amore, non come bieco voyerismo o come un gesto di ribellione che vuole sbalordire il pubblico. Vedrai quanto nudo ci sarà nei Fiorentini! Le botteghe degli artisti, dei pittori, degli scultori, nella Firenze del ‘400, erano piene di corpi ignudi: ma un nudo esaltante!” Comunque, stavamo dicendo che dieci o venti anni fa c’erano dei registi di spicco. Oggi i valori si sono livellati. Perché?“Perché c’è un’enorme crisi mondiale di personalità, in tutti i campi. E il cinema naturalmente è lo specchio della società in cui viviamo. Vent’anni fa c’erano al mondo Papa Giovanni XXIII, John Kennedy, De Gaulle, Kruscev, Churchill, c’erano grandi scienziati, pittori, scrittori. Poi sul mondo è passato il vento della contestazione e ha lasciato un impoverimento generale.” Anche il cinema americano soffre di mancanza di personalità? Chi ti piace dei registi d’oltreatalantico?“Vette eccezionali non ne vedo. Coppola mi è sempre piaciuto, ma a giudicare dal suo ultimo film, mi sembra che si stia sbalestrando anche lui. Sono discreti Cimino, Scorsese… Altman no, non mi piace, nel suo genere preferisco Huston. Ma ecco, quelli che mi sembrano dei veri geni del cinema sono George Lucas e Steven Spielberg, gli autori di I predatori dell’arca perduta. Qualunque cosa facciano quei due mi piace da impazzire, perché c’è un lato infantile in me che risponde in pieno ai loro sogni deliranti.” E del cinema anglosassone che pensi? Gli inglesi hanno una grande scuola di recitazione.“Hanno i più grandi attori che esistano al mondo. Sono loro che hanno inventato la recitazione moderna e la reinventano di continuo, insieme agli americani. Sono bravissimi.” E tra i registi italiani chi ti piace?Mi piace Fellini e non so chi altro. Intendiamoci, ci sono ottimi registi, come Rosi, Petri, ma non ce n’è uno che quando gira una scena sappia metterci la sua firma inconfondibile, come fa Fellini. Se vedi una sua sequenza, ti accorgi immediatamente che l’autore è lui. Questo non succede con gli altri. Del resto, molti oggi cercano di fare cose originali, ma sono in malafede, perché magari si ispirano alle cose che ha detto questo o quel critico. La gente se ne accorge subito e li punisce. Guarda il festival di Venezia: da tre anni è un disastro completo.” Tu, comunque, chi scegli: il pubblico o l’arte?“Io mi rivolgo soltanto al pubblico, perché la gente non è una massa amorfa, ignorante e imbecille come molti pensano. Io non ascolto i critici e non faccio un discorso artistico. Se poi l’arte viene, tanto meglio. Ma non potrei mai spendere un anno della mia vita a trattare una materia che mi ripugna o a divulgare principi dei quali non sono convinto, solo per aspirare alla corona d’alloro dell’artista. Quello che mi interessa è parlare direttamente alla gente: voglio dare conforto e consolazione, voglio aprire gli occhi dell’uomo sulle cose belle e che fanno bene. Non lo faccio per altruismo ma solo perché queste sono le cose che piacciono a me. E, come me, le ama anche la gente. Tutto qui.”