ANNESSIONE ISRAELIANA. LE CONTROMISURE DI ABU MAZEN

La fatidica data del primo luglio si sta avvicinando ma ancora non è chiaro quali siano le reali intenzioni di Netanyahu rispetto all’annunciata annessione di parte della Cisgiordania. Nel frattempo cominciano ad arrivare le prime indiscrezioni sulle possibili contromisure decise da Abu Mazen per contrastare e addirittura annullare le intenzioni del governo israeliano. I punti salienti della contro risposta palestinese sono essenzialmente due: da un lato l’organizzazione e la gestione di una serie di proteste popolari per sensibilizzare l’opinione pubblica palestinese e internazionale, dall’altro l’intensificazione di varie azioni diplomatiche che dovrebbero coinvolgere in primis la Giordania (con la quale Israele ha un accordo di pace) e l’Unione Europea. Attualmente il Rais palestinese non è ancora riuscito a creare un fronte compatto sul quale fare affidamento. All’interno del suo stesso governo non tutti la pensano come lui, per non parlare di un possibile appoggio di Hamas e della Jihad islamica. Ma quello che più preoccupa Mahmoud Abbas è la mancanza di certezza rispetto alla sua reale possibilità di mobilitare la maggioranza della popolazione. Secondo l’intelligence israeliana la base palestinese non si fida del suo presidente e teme che al momento della verità i civili possano essere lasciati al loro destino senza usufruire di una seria copertura politica. Sempre secondo le fonti israeliane, due sarebbero i possibili elementi che potrebbero risvegliare l’orgoglio nazionale palestinese: quello religioso, per esempio una provocazione sulla spianata di el Aqsa, e quello economico, portando dunque al collasso la già debole economia locale. Il primo fattore dipenderà dalla stupidità e dall’incoscenza dell’avversario israeliano, a lui spetta la mossa decisiva, mentre per la crisi economica Abu Mazen si sta già attrezzando. Una delle prime risposte alle possibile intenzioni israeliane è stata quella di bloccare l’afflusso di gran parte dei fondi che Israele è tenuta a versare ai palestinesi secondo gli accordi di Oslo. I rubinetti sono stati chiusi al punto tale che nelle casse dell’Autonomia palestinese non ci sono abbastanza fondi per pagare gli stipendi delle decine di migliaia di funzionari al suo servizio. Abu Mazen gioca sul malcontento popolare con la speranza che venga indirizzato verso l’occupante israeliano. Lo slogan è già pronto: “No al furto della terra palestinese”. Nel frattempo lo scenario più probabile, almeno secondo l’unità di crisi dell’esercito israeliano, dovrebbe essere il seguente. Il primo luglio Netanyahu dichiara l’annessione unilaterale di parte della West Bank e di tutta la vallata del Giordano. Come risposta la popolazione palestinese crea dei focolai di protesta e blocca la statale 90, l’arteria principale che attraversa tutto il paese da nord a sud, contemporaneamente convoca il consiglio di sicurezza dell’Onu. La Giordania richiama il sua ambasciatore a Tel Aviv per consultazioni e chiude i valichi di confine con Israele. Netanyahu fa affidamento sull’apatia generale della popolazione palestinese, ma anche lui sa che una valutazione del genere può modificarsi radicalmente in pochissimo tempo. Israele sta attraversando una recrudescenza del Covid 19 dovuta all’apertura quasi totale di tutte le attività. La preoccupazione principale degli israeliani è di natura economica, attualmente il numero di disoccupati si aggira attorno al 20 % e i segni di una ripresa economica sono ancora molto modesti. Ma Netanyahu ha le sue gatte da pelare e distogliere l’attenzione pubblica dai problemi interni a questioni molto più marginali rappresenta per Bibi una priorità. Molto deludente per il momento Benny Gantz primo ministro in seconda almeno sulla carta, di fatto una comparsa incapace di dettare le sue condizioni e impedire una mossa avventata e imprevedibile.