ARGENTINA: DALLA MEMORIA DEL GOLPE ALLA LOTTA ALLE NUOVE INGIUSTIZIE

ARGENTINA: DALLA MEMORIA DEL GOLPE ALLA LOTTA ALLE NUOVE INGIUSTIZIE

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENOS AIRES “Son 30mil!” (sono 30mila). È lo slogan che ha accompagnato quest’anno la marcia del 24 marzo a Buenos Aires, con cui si ricorda il colpo di stato del 1976, che ha dato il via a una delle dittature più crudeli e sanguinarie del continente latinoamericano, terminata nel 1983. Sono 30mila, un numero probabilmente arrotondato per difetto, ripetuto a gran voce contro ogni tentativo revisionista da parte di esponenti del governo, tra cui lo stesso presidente Mauricio Macri.Un anniversario che si celebra, quest’anno, in un momento difficile per il governo di Macri, con il dollaro a 40 pesos, l’inflazione al 45 per cento e la disoccupazione al 9,1 per cento (con 350 mila posti di lavoro persi solo nell’ultimo anno). Era stabile al 3,5 per cento nel 2015 tanto che, in cima alle priorità del governo, c’era la necessità che aumentasse di due punti, per costringere i sindacati a un atteggiamento mite. Ma la situazione deve essere sfuggita di mano.Il 24 marzo,Día Nacional de la Memoria por la Verdad y la Justicia, è un’occasione per ricordare le altre dittature sudamericane – dal Brasile al Cile, dalla Bolivia al Paraguay – legate al Plan Condor, ossia un’azione organizzata dagli Usa e finalizzata a controllare con il terrore la diffusione di idee comuniste nei paesi dell’America del Sud.Avenida de Mayo è gremita dalla folla, impossibile avvicinarsi alla piazza – dovelas madressi trovano ogni giovedì a marciare e chiedere giustizia – con la Casa Rosada (la sede del governo) in fondo, a chiudere la prospettiva dagrand boulevardeuropeo. Lungo la avenida, performance di artisti (nella foto), manifesti, striscioni, stand delle associazioni per i diritti umani e civili. Ci sono le ragazze di Ammar, il sindacato delle prostitute, i volontari di No Matarás, organizzazione legata a una chiesa protestante (non tutte sono espressione della destra neoliberista), il collettivo artistico del Borda (un ospedale psichiatrico al centro di un lungo contenzioso per un progetto di speculazione edilizia sull’edificio che lo ospita, con tanto di tentativo di sgombero violento di medici e pazienti nel 2013, quando governatore di Buenos Aires era proprio Macri).Gli altoparlanti diffondono il messaggio letto dai rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Estela Carlotto (Abuelas de plaza de Mayo) e Nora Cortiñas (Madres – linea fundadora). Contro ogni tentativo revisionista portato avanti dall’attuale governo, vengono ricordati i 10mila prigionieri politici, i circa 500 neonati rubati, gli oltre 700 centri clandestini di detenzione, tortura e sterminio, la censura, il debito estero cresciuto in modo esponenziale, la povertà programmata. E loro, più presenti che mai, i 30mila desaperecidos: attivisti politici, in primo luogo, ma anche semplici simpatizzanti con idee di sinistra.Al momento sono 900 i militari condannati e a loro si aggiungono alcuni civili, come i due ex dirigenti della Ford, per i quali nel 2018 è stata dimostrata la partecipazione attiva nel sequestro e tortura di due lavoratori. A conferma di quanto gli storici vanno dicendo da tempo: che quella argentina è stata una dittatura civico-militare, con l’obiettivo di disciplinare la classe lavoratrice.E oggi, a 43 anni di distanza, non sono venute meno le contraddizioni e le ingiustizie sociali che hanno portato quei 30mila a seguire la strada della militanza e, in alcuni casi, della lotta armata. È di pochi giorni fa la notizia che un’azienda argentina ha messo in commercio, come se fosse latte, una bevanda dalle dubbie qualità nutritive e organolettiche, per venire incontro alle esigenze di quella parte della popolazione che non può permettersi di pagare il latte “vero” 45 pesos al litro (meno di un euro). Come dire: che i poveri restino poveri, si accontentino delle briciole che cadono dal tavolo quando si scuote la tovaglia, e facciano una vita da poveri, mangiando cose da poveri. Docili e disciplinati, come voleva chi ha appoggiato il golpe del 1976. Ai quali la società civile argentina ha più volte urlato “Nunca más!” (mai più), mentre continua a “lottare per la Patria che quei 30mila avevano sognato”.