PICCIRÌ, VUOI FARTI PRETE?
La foto lo ritrae con l’ostensorio d’argento tra le mani e il velo omerale sulle spalle. È lo sguardo però che attira l’attenzione.Lo sguardo di quel giovane prete che, incantato, fissa l’Ostia misteriosa. Piccolo pezzo di pane nel quale è racchiuso un mistero immenso. E don Marco in quel mistero aveva voluto gettarsi a capofitto. Quel mistero ha potuto adorare e contemplare sotto le sue stesse mani da quando era stato ordinato sacerdote. La foto, però, è dello scorso anno, perché don Marco è volato in cielo. Ci teneva tanto a celebrare il decimo anniversario della sua ordinazione. Mancava giusto un mese. Il Signore ha decretato diversamente. La diocesi di Aversa, la parrocchia che gli era stata affidata e che ha tanto amato, amici e familiari non hanno smesso di bussare alla porta del cuore di Gesù da quando arrivò la terribile notizia: il cancro aveva colpito don Marco. Quella porta, però, è rimasta chiusa. Perché? I misteri di Dio li conosce Dio. A noi basta sapere che tutto «concorre al bene di coloro che lo amano e che sono chiamati secondo il suo disegno». Tutto viene permesso per la nostra salvezza. Noi cristiani abbiamo la grazia di «sperare contro speranza». Don Marco non aveva ancora 36 anni. Un prete brillante, preparato, intelligente, colto. Sapeva suonare e cantare. I giovani lo amavano. Era per loro il parroco e l’amico; il confidente e il maestro. Per loro scriveva le sue canzoni nelle quali Cristo era sempre al centro. Ha sofferto tanto, Marco. Un giorno, dal suo letto di dolore, mi ha detto. «Sai, padre, anche tu hai avuto una piccola parte nella mia vocazione». Davvero? E quale? Aiutami a ricordare. E lui, sorridendo, è andato a rovistare nella selva dei suoi ricordi: «Eravamo in sagrestia. Tu venisti a confessare nella nostra parrocchia. Io ero un chierichetto. Alla fine della confessione mi hai detto: ‘Piccirì, vuoi farti prete?’». E ha sorriso. Davvero, Marco? Che gioia mi dai, gli ho risposto. Possibile? Possibile che una semplice frase gettata così alla buona possa entrare nel cuore di un ragazzino e ritornare alla memoria sul letto di morte? Quanta responsabilità abbiamo nei confronti delle persone che il Signore mette sul nostro cammino. La sera prima del suo ingresso in Paradiso andai a fargli visita. In camera con lui c’erano il nostro vescovo, Angelo Spinillo, due sacerdoti e i suoi stupendi genitori. Era sereno. La morfina riusciva a tenere a bada il dolore. Era contento: papa Francesco gli aveva telefonato qualche giorno prima. Davvero, Marco? E che ti ha detto? Come si è presentato? «Mi ha detto: ‘pronto? Sono Bergoglio’. Ma io ero un po’ assonnato. Mi ha promesso la sua preghiera ma anche mi ha chiesto di pregare per lui». Francesco: grande Papa capace di gesti semplici che rincuorano. Il 18 settembre 2015 don Marco scrisse sulla sua bacheca Facebook: «La puzza persiste al paesello… Ma nessuno indìce uno sciopero, una protesta? Una voce che grida… Ma è mai possibile che non esista più nessuno? La puzza ci ha resi già morti tutti? Nessuno? Il Signore dopo aver creato il mondo lo benedisse, e oggi l’uomo maledice l’opera più bella mai avutasi! Sorgi o uomo e difendi il tuo creato!». Il paesello è Pascarola, frazione di Caivano. Sottovoce, quasi parlando con se stesso, don Marco mi disse: «È giusto che anche un prete paghi il prezzo per lo scempio della ‘terra dei fuochi’». Addio Marco
