ARGENTINA. EDUARDO VALDES: “L’OMBRA DEI BROGLI SULLE ELEZIONI DI OTTOBRE”

L’appuntamento è nella “cueva”, un open space dove Eduardo Valdés, deputato del Parlasur ed ex ambasciatore argentino in Vaticano, raccoglie oggetti di modernariato, dischi in vinile, vecchi libri e cimeli peronisti. “Ho iniziato nel 2002, subito dopo il default”, racconta.“All’epoca, secondo un censimento delle università di Sarmiento e Lanús, ben 100mila 500 famiglie di Buenos Aires erano finite sulla strada a cartonear”. Passavano la notte a rovistare tra i rifiuti alla ricerca di cartone o altro materiale riciclabile, da rivendere per pochi pesos. “Erano operai tessili ed edili, lavoratori del settore della ristorazione rimasti disoccupati a causa delle crisi economica. Senza saperlo, mi hanno insegnato il valore di una cultura del recupero. Se mi portavano qualche oggetto vecchio e curioso, glielo compravo a un prezzo superiore a quello che avrebbero ricavato da altri. E continuo a collezionare.” Eduardo Valdés, avvocato e dirigente peronista, dal 2015 è deputato del Frente para la Victoria (la coalizione che sostenne Cristina Kirchner alle elezioni presidenziali) al Parlasur (che sta al Mercosur come il Parlamento Europeo sta alla Ue). Nel biennio 2014-2015 è stato ambasciatore alla Santa Sede. Gli abbiamo chiesto un commento sull’esito delle primarie in Argentina, che per legge – dal 2009 – si svolgono in contemporanea per tutti i partiti in seggi elettorali regolari, selezionano il candidato di ogni coalizione ed eliminano quelli che non arrivano al quorum dell’1,5 per cento dei voti validi totali. Per questo forniscono una fotografia dell’orientamento degli elettori, in vista delle consultazioni di metà mandato di ottobre, per il ricambio del 50 per cento dei posti in parlamento. Dopo 17 giorni dalle elezioni, sono finalmente arrivati i risultati definitivi. Qual è il bilancio? Il governo ha cercato di far passare la narrazione di un’Argentina già post-kirchnerista, ma i risultati della provincia di Buenos Aires hanno dimostrato che Cristina, l’ex presidente ora candidata al Senato, è “viva” e ha vinto. Per la prima volta nella storia del nostro paese, sono passati 17 giorni prima di avere i risultati ufficiali. Come argentino, ne parlo con molta vergogna. Come ultima mossa, il governo di Macri ha tentato la via dei brogli elettorali, come dimostrano i dati dei 1523 seggi dove inizialmente risultava che Cristina non avesse preso nemmeno un voto, mentre al riconteggio ha superato in tutti il candidato macrista Esteban Bullrich. Ma queste primarie ci hanno fatto fare una figuraccia davanti al mondo, soprattutto davanti a quegli investitori che il governo di Mauricio Macri vorrebbe attrarre. In ogni caso, è ormai ufficiale che Unidad Ciudadana, il partito con cui Cristina è tornata sulla scena politica, ha vinto nelle provincie di Buenos Aires e di Santa Fe, le più importanti dal punto di vista elettorale (solo in quella di Buenos Aires risiede il 40 per cento degli elettori, nda). Com’è cambiata la strategia di comunicazione di Cristina? Dopo due anni di assenza dalla politica attiva, torna con un profilo più basso, senza il protagonismo e i lunghissimi discorsi a cui eravamo abituati. Le elezioni di metà mandato rappresentano soprattutto un’occasione per ascoltare. Ascoltare come sta il popolo e, in base a questo, costruire il proprio discorso politico. Il voto di metà mandato è un voto di difesa: chi ritiene di stare meglio oggi di due anni fa, voterà in un modo; chi pensa si stare peggio, in un altro. Queste elezioni, a differenza delle presidenziali, non cambiano la politica di un paese da un giorno all’altro, anche se possono incidere sulle maggioranze parlamentari. A queste primarie il peronismo si è presentato diviso. Al ballottaggio per le presidenziali del 2015, persino con la vittoria di Macri incombente, il Partido Obrero (trozkista) diede ai suoi elettori l’indicazione di votare scheda bianca. Perché, in Argentina come in Italia, la sinistra fa continue secessioni e la destra invece si stringe intorno ai suoi leader? Perché la destra è tenuta insieme dagli interessi, la sinistra dalle idee. E chiunque abbia un’idea, nasconde dentro di sé una tentazione settaria. Il peronismo ha sempre avuto una relazione difficile con la sinistra marxista?In realtà non è così. La difficoltà di comunicazione è solo con i trozkisti. Nel primo governo di Perón c’erano un vicepresidente radicale (il partito radicale è simile un partito socialdemocratico), socialisti e conservatori. L’importante è avere chiaro per quale politica si fanno le alleanza. Nel Frente para la Victoria, con cui Cristina ha vinto le elezioni del 2007 e del 2011, sono confluiti comunisti, socialisti e conservatori. E tutti hanno votato le leggi sull’identità di genere, sul matrimonio ugualitario, contro le concentrazioni nel settore audiovisivo. Lei è stato ambasciatore in Vaticano ed era amico di Bergoglio, quando era arcivescovo a Buenos Aires. Se mi professassi amico mentirei. Lo conoscevo personalmente e l’ho sempre rispettato. Come arcivescovo di Buenos Aires, stava nei luoghi dove deve stare la Chiesa, secondo me. Faceva una messa nel barrio di Constitución, uno dei più malfamati, per i cartoneros, i lavoratori semi-schiavi dei laboratori tessili, le prostitute… E dei due anni in Italia cosa ricorda? Mi mancano i mercoledì, quando accompagnavo i cittadini argentini all’udienza. Vedevo giovani cristiani, cattolici e non, ebrei con la kippah, sikh con il turbante che andavano ad ascoltare il suo messaggio di pace e di denuncia all’ingiustizia. In questi giorni è stato lui a prendere posizioni radicali sui migranti. Ha conosciuto il nostro paese. Se dovesse spiegare il peronismo alla sinistra italiana che parole userebbe? Il peronismo un movimento nazionale popolare, più che populista, che nasce dall’irruzione dei ceti più svantaggiati, degli ultimi, in Plaza de Mayo, con la grande manifestazione a sostegno di Perón del 17 ottobre 1945. Vennero definiti “il sotterraneo della patria che insorge”, perché fino ad allora erano rimasti nascosti, invisibili. Perón fu il primo a capire, in piena guerra fredda, che la vera polarizzazione del mondo non sarebbe stata tra Est e Ovest, ma tra Nord e Sud. Di tutti gli “ismi” del ‘900 – fascismo, stalinismo, franchismo, capitalismo – il peronismo è l’unico ancora in piedi. Persino il capitalismo è in crisi, soffocato dalla sua stessa deriva finanziaria.In fondo Cristina non ha fatto altro che difendere il capitalismo produttivo. Mentre il resto del mondo era travolto dalla crisi economica, ha messo in atto politiche statali perché la gente potesse continuare a consumare beni e servizi prodotti in Argentina. È stata difesa l’occupazione, per evitare che si innescasse la recessione. Sono state create cooperative per la manutenzione edilizia che lavoravano per lo Stato e impiegavano coloro che erano stati estromessi dal mercato. Sono stati sostenuti i consumi, per esempio con il piano Ahora12 che permetteva di comprare a rate senza interessi. Noi crediamo che la piena occupazione debba essere una politica di Stato. Nel 2003 la disoccupazione era al 50 per cento, nel 2015, alla fine del secondo mandato di Cristina, era scesa al 7 per cento. Con un paese non più indebitato. Quale assistenzialismo? Se il mercato – dopo un evento catastrofico come il default del 2001, seguito da una fase anticiclica – non è in grado da solo di assorbire tutta la manodopera disponibile, i posti di lavoro vanno creati. In realtà le critiche riguardavano soprattutto i piani di assistenza e i sussidi. Si diceva che fosse un modo per procacciare voti. L’asignación universal por hijo (contributi a famiglie a basso reddito in base al numero dei figli, nda) non era un contributo a pioggia, ma pensato come politica redistributiva e subordinata alla presentazione del certificato scolastico dei bambini. In una recente intervista sulla rivista uruguayana “Busqueda”, il presidente dell’Uruguay Tabaré Vasquez ha dichiarato di aver votato per l’espulsione del Venezuela dal Mercosur per timore di ritorsioni da parte di Brasile e Argentina, i paesi che più premevano per questo provvedimento. Il sogno della Patria Grande, l’unità sudamericana, è tramontato? Il Parlasur ha rifiutato proprio alcuni giorni fa l’ipotesi di qualsiasi intervento e ingerenza negli affari interni del Venezuela, pur mettendosi a disposizione per una mediazione. Insomma, un atteggiamento molto diverso da quello tenuto dal Mercosur. La spiegazione è che quest’ultimo esprime le posizioni dei governi, mentre il Parlasur quella dei popoli e garantisce un’adeguata rappresentatività delle diverse forze politiche. Mi sembra importante sottolineare una notizia che è stata ignorata dai mezzi di comunicazione: la richiesta di non espellere il Venezuela è stata firmata dai deputati delle due parti politiche in lotta: chavisti al governo e opposizione. Se i progressisti, tra due anni, vinceranno di nuovo le elezioni che paese erediteranno? Un’Argentina più povera, più disoccupata, più indebitata. Sarà possibile tornare a politiche di inclusione? Faremo le politiche di inclusione possibili in quel momento. Abbiamo commesso molti errori e per questo abbiamo perso le elezioni del 2015. È stato un duro processo di apprendistato. Non li ripeteremo. Quali sono stati gli errori più gravi del kirchnerismo? Le misure restrittive sull’acquisto di dollari, aver fatto troppo affidamento su una logica estrattivista, in un periodo in cui i prezzi delle materie prime erano alti? Lascerei perdere i tecnicismi. Nella storia argentina le cose sono andate sempre male a chi, dopo aver vinto, ha provato pure a stravincere. Quando nel 2011 Cristina trionfò con il 54 per cento, era il momento di fare un accordo di convivenza con il secondo arrivato, il socialista Hermes Binner (18,6 per cento), per rendere più solide le politiche per i diritti di inclusione, per riformare la Costituzione senza inserire per forza la possibilità di un terzo mandato. Invece ha prevalso la tentazione di “vamos por todo” (prendiamoci tutto). Lo stiamo pagando.