ARGENTINA: LE DIAGNOSI DEL GOVERNO, LE MEDICINE DEL FMI
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENOS AIRES Con il dollaro che veleggia da giorni oltre quota 40 pesos (e l’euro oltre i 50), il Fmi autorizza di nuovo il Banco Central a vendere divisa per rallentarne, almeno temporaneamente, la corsa, dopo che il tentativo era fallito con l’aumento dei tassi di interesse. Gli obiettivi concordati con il Fmi per la concessione del prestitostand bydello scorso anno (deficit primario zero e inflazione a una sola cifra) sono ormai un miraggio, sempre che a qualcuno siano mai apparsi una meta realistica. Forse solo alla direttrice Christine Lagarde, che chiede un nuovoajuste(manovra fiscale), come se aumentare ulteriormente le tasse a una popolazione già impoverita da tre anni e mezzo di rincari e perdita del potere d’acquisto sia la strada giusta per aumentare il gettito fiscale.Quest’anno gli argentini spenderanno, per il pranzo di Pasqua, più di quanto abbiano fatto nei tre anni precedenti sommati. Gli argentini a cui è rimasto qualcosa da spendere, s’intende. Ma questo non sembra un problema per il governo. Nei giorni scorsi il presidente Mauricio Macri ha annunciato che l’inflazione è diminuita (smentito dagli stessi dati dell’Indec, l’istituto nazionale di statistica), poi ci si è messo pure il capo di Gabinetto Marcos Peña a spiegare che le fluttuazioni del peso “non sono motivo di allarme”. Peccato che, da tre anni e mezzo a questa parte, non fluttui ma coli a picco.La politica economica di questo governo è una storia ininterrotta di errori, iniziati nel 2016, quando l’appena insediato governo ha liberalizzato la compravendita di dollari, pensando che al massimo la moneta statunitense sarebbe arrivata a 15 pesos. Non che prima non fosse legale detenere dollari in Argentina, ma la quantità autorizzata per l’acquisto dipendeva dal reddito dichiarato al fisco. Il nuovo governo ha eliminato in effetti il tetto massimo, ma lasciando come requisito una dichiarazione giurata sul patrimonio mobile e immobile posseduto in Argentina e all’estero. Risultato: la classe media ha continuato a cambiare in nero, finché non si è ritrovata senza più niente da cambiare. In compenso, la liberalizzazione del cambio e la svalutazione del peso ha fatto fallire un’operazione finanziaria di future sul dollaro lanciata dal governo precedente. Sulla quale qualcuno si è sicuramente arricchito.Sempre nel 2016, come atto dovuto alla potente associazione dei proprietari terrieri per l’appoggio ricevuto in campagna elettorale, Macri ha eliminato le tasse sulle esportazioni agricole, finanziando l’operazione con un mega prestito che ha riportato l’Argentina al primo posto nella classifica dei paesi più indebitati al mondo. La pioggia di investimenti stranieri promessa in campagna elettorale non è arrivata (“Ci avevano detto che avrebbero investito, noi ci abbiamo creduto”, si è giustificato il presidente), sia per le condizioni dell’economia mondiale, sia per l’assetto interno. Anche perché un paese attira investimenti stranieri quando i prezzi sono stabili e i sindacati garantiscono la pace sociale, cosa impossibile se un governo appena insediato inizia a licenziare i dipendenti statali a colpi i migliaia al giorno.Nel 2017 la situazione sembrava leggermente migliorata, mentre in realtà era la crisi che prendeva la rincorsa: una bolla speculativa generata dall’indebitamento esterno che stava per scoppiare. Ma il governo, incapace di prevederlo, ha soffiato sul fuoco del conflitto sociale, approvando a fine anno una riforma previdenziale che ha riportato sotto la soglia di povertà milioni di pensionati al minimo.Lo scoppio, di quelli con il botto, è arrivato a metà del 2018, con il dollaro a 40 pesos e la richiesta di aiuto al Fmi. Non era, come pretendevano Macri e Peña, una volatilità passeggera, ma la dimostrazione che il governo aveva accumulato debiti che il paese non sarebbe mai stato in grado di pagare. Non difficile da prevedere, con un prestito in dollari al 7,5 per cento di interessi della durata di 100 anni. La soluzione? Un altro prestito, questa volta concesso dal Fondo monetario (nella foto, Macri e Lagarde all’epoca della firma dell’accordo), in cambio delle contropartite di sempre: privatizzazioni, ridimensionamento dello stato, stretta impositiva, aumento delle tariffe dei servizi pubblici e del trasporto (www.alganews.it/2018/06/11/il-fondo-monetario-internazionale-strozza-largentina-come-fece-con-la-grecia/).A fine 2018 il governo ha annunciato trionfalmente la fine della recessione, per il miglioramento stagionale di alcuni indicatori, fingendo di ignorare che il settore siderurgico e automobilistico stavano colando a picco.Attualmente un biglietto dell’autobus costa 21 pesos (una persona he fa le pulizie guadagna 50-80 pesos all’ora) e questo mese le bollette aumenteranno del 30 per cento (gli aumenti dal 2016 a oggi sono stati del 400-1000 per cento). Un ulteriore colpo sia per le famiglie, sia per le imprese, soprattutto le piccole e medie industrie, che chiudono e licenziano. Non sono previsti altri aumenti fino a ottobre, ma solo per l’imminenza delle elezioni presidenziali che si svolgeranno in quel mese.Errori su errori, legati forse a incapacità di diagnosi, ma soprattutto a riferimenti ideologici precisi. La convinzione che l’industria nazionale inefficiente per statuto e che sia una malattia da attaccare con la cura delle importazioni. Che i pensionati siano un peso e che le pensioni debbano abbassarsi per ridurre le spesa pubblica. Che anche i salari vadano ridotti (come pure le tutele, tutto sommato abbastanza buone, per i lavoratori), perché è questo l’unico modo per aumentare la competitività. La competitività del settore agricolo, invece, aumenterebbe se si permettessero le fumigazioni a base di glifosato nelle aree vicino alle scuole. Nelle parole del presidente Macri, un provvedimento irrinunciabile per fare uscire il paese dalla crisi.Il solito vecchio vizio dei neoliberisti, che considerano un problema ciò che favorisce il benessere economico e sociale della popolazione. Ma la loro ricetta, lungi dall’essere risolutiva, rischia di espellere dall’economia il 50 per cento della popolazione, in un paese dove il 30 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. E l’Argentina tornerà a essere quello che era prima del default del 2001: un paese indebitato, esportatore di materie prime, ma non di prodotti industriali, con un mercato interno asfittico e una popolazione impoverita, priva di tutele sociali.
