I PORTUALI DI GENOVA CHIUDONO ALLE ARMI ED APRONO ALL’UMANITÀ
La verità è che si dovrebbe parlare solo di quello che è successo in questi giorni a GENOVA. Perché dietro c’è un modo di sentirsi esseri umani e un modo di farsi valere che possono essere d’esempio a tutta l’Italia. Il fatto è semplice: da tempo i portuali di Genova, insieme a gruppi di cittadini solidali, si stanno mobilitando contro i carichi di armi che partono verso l’Arabia Saudita. Direte voi: ma perché? Chi glielo fa fare? La coscienza. La percezione di essere parte di un tutto. La voglia di dire basta a un sistema assassino. Anche se questo vuol dire fare picchetti e sciopero, rimetterci soldi e rischiare il lavoro. Perché l’Arabia Saudita è un paese che sta massacrando da anni il piccolo Yemen, uccidendo bambini e civili. In 3 anni sono morti 85 mila bimbi sotto i 5 anni. Quelli che sopravvivono muoiono per denutrizione. E’ uno sterminio scientifico. Quelle armi avrebbero prodotto altra morte. I portuali hanno sentito nel loro cuore che caricarle, farle arrivare lì dove avrebbero sparato, li avrebbe resi complici. E hanno vinto. Come era successo ai portuali di Le Havre e di Marsiglia. Un frammento di classe operaia internazionale ha impedito, almeno per quello che poteva, che quelle armi prodotte dal rispettabile Occidente – Canada, Stati Uniti, anche l’Italia – non producessero altro dolore, altri profughi, altra umanità di scarto. I portuali di Genova e chi li ha sostenuti non avevano soldi, non avevano contatti, non avevano mezzi che non fossero il mettersi in gioco in prima persona. Ma hanno capito il loro potere, il potere che hanno lavoratori e cittadini quando si organizzano e praticano un obbiettivo, e hanno saputo fare la voce grossa dove altri avrebbero chinato la testa. Capacità di immedesimazione e coraggio: di questo l’Italia oggi ha bisogno. Onore ai camalli di Genova!Chi fa la guerra non va lasciato in pace!Porti chiusi alle armi, aperti all’umanità!
