DIECI ANNI DOPO SIAMO TUTTI ORFANI DI ENZO BIAGI

DIECI ANNI DOPO SIAMO TUTTI ORFANI DI ENZO BIAGI

Dieci anni fa moriva Enzo Biagi, sicuramente il più grande giornalista della seconda metà del secolo scorso, ma anche uno scrittore dal talento naturale ed esempio per un’intera generazione di praticanti giornalisti e di lettori. Ogni suo atto, infatti, ripercorrendo i fatti salienti di quell’epoca, ha offerto, come per nessun altro personaggio di quel mondo, un esempio, una scelta di vita ineccepibile da seguire.Era nato il 9 agosto 1920, classe di ferro, la stessa di Ciampi e Wojtyla, nell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna. Madre casalinga e padre magazziniere, era dotato di un talento unico per la scrittura, quel talento che si mostra già nei primi temi scritti da bambino, e uno di questi fu addirittura segnalato al pontefice Pio XI. Senza abbandonare gli studi, si diede al giornalismo, in un’epoca in cui si faceva la gavetta come cronista, al Resto del Carlino, e soltanto tre anni dopo divenne professionista. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale combatté ma, per non aderire a Salò, superò la linea del fronte unendosi ai partigiani che operavano sull’Appennino. Il 21 aprile 1945 entrò a Bologna con le truppe alleate e annunciò lui stesso, sulle frequenze radio delle forze angloamericane, la fine della guerra.Nel dopoguerra fonda “Cronache” e “Cronache sera”, e viene riassunto al Resto del Carlino dove offre memorabili cronache sulle inondazioni del Polesine.Il trampolino di lancio fu, con il trasferimento a Milano, la direzione del settimanale “Epoca”. Entra in Rai nel 1961 e ne diventa subito direttore del Telegiornale mentre, nel 1962, fonda il primo rotocalco televisivo, “RT”. Con il successo, la sua firma compare su La Stampa (di cui è inviato per una decina d’anni), la Repubblica, il Corriere della Sera e Panorama. Parallelamente avvia un’attività di scrittore mai più interrotta e che lo ha visto quasi sempre in testa alle classifiche di vendita, arrivando a vendere qualche milione di libri.Da questo momento è impossibile contare il numero di trasmissioni Rai di cui è ideatore e conduttore, ma tutte sempre caratterizzate da uno stile limpido, rigoroso e di grande impatto per il pubblico che lo elegge subito suo beniamino, al pari di personaggi come Angela e Costanzo.Tra queste, “Proibito”, inchiesta di attualità sui fatti della settimana, “Film dossier” (1982), “Linea diretta (1985)”; nel 1986 presenta il settimanale giornalistico “Spot” e, negli anni ’87 e ’88, “Il caso”, nell’89 è ancora alle prese con “Linea diretta”, nel 1991 con “I dieci comandamenti all’italiana”. A proposito di questa trasmissione, condotta con il cardinale Ersilio Tonini, che diventerà suo amico, bisogna dire che fu una scommessa vinta, cioè quella di portare in prima serata un argomento così inusuale per i nostri tempi… proverbiale fu la presentazione di Biagi della trasmissione: “Santità voglio rassicurarla: di comandamenti non ne abbiamo né tolti, né aggiunti”, ma anche la risposta di Giovanni Paolo II fu all’altezza: “Vi ringrazio anche a nome di Mosè”.Nel 1995 inventa “Il Fatto”, programma giornaliero di cinque minuti su avvenimenti e personaggi italiani, che viene ripreso in tutte le stagioni successive, sempre con altissime percentuali di ascolto. Dopo settecento puntate, Biagi però è stato al centro di aspre polemiche a causa di una sua presunta prevenzione nei confronti dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il quale aveva espressamente rimproverato il giornalista di non essere equilibrato. Il Consiglio di Amministrazione della Rai, pur non avallando ufficialmente queste critiche, ha modificato l’originaria e prestigiosa collocazione oraria del programma, poco dopo la fine del telegiornale della sera, spingendo il giornalista bolognese a interrompere la sua collaborazione.Fu l’ultimo atto, nobile, di una vita, umana e professionale, combattuta sempre sul filo della più alta dignità, al di fuori dei meschini giochi di potere e degli opportunismi di turno.Biagi creò uno stile e un modo di fare televisione lontano anni luce da quello che oggi la tv produce. Il suo rigore e il suo garbo gli permettevano di essere popolare senza mai abbassare lo spessore intellettuale delle sue riflessioni e d’essere trasversale a ogni ideologia e classe sociale. La sua chiarezza lo faceva comprendere da chiunque anche quando, a differenza di Angela, per esempio, non riduceva i contenuti delle problematiche che esponeva.Il fatto che del suo programma quotidiano se ne parlasse ogni mattina dopo al bar lo conferma, e questo ci fa sentire, ancora oggi, dopo dieci anni, un po’ tutti orfani di lui.