CORSO ELEMENTARE DI SIGNORAGGIO BANCARIO.

CORSO ELEMENTARE DI SIGNORAGGIO BANCARIO.

Ormai di questi giorni, una delle parole più usata da coloro che vogliono fare gli chic o almeno spacciarsi per economisti istruiti è parlare di “signoraggio”. Ne parlava Beppe Grillo nei suoi spettacoli (salvo poi smettere una volta datosi alla politica), ne parlava Sara Tommasi (rigorosamente senza mutande) e tanta altra gente per sembrare degli intellettuali. Cosa vuol dire? Bisogna spiegarlo con semplicità, ricostruendo la storia del denaro come strumento dell’ economia: semplifico molto, i grandi economisti mi tacceranno di eresia o pressapochismo, ma l’ importate è chiarire i concetti, concetti importanti nelle nostre vite. Ai tempi dell’ uomo preistorico, prima che nascessero le prime civiltà costituite da uomini che vivevano assieme e operavano in un economia integrata, si viveva di baratto, ovvero lo scambio dei beni di cui si aveva bisogno. Con l’ arrivo delle civiltà, della convivenza con gli altri esseri umani e economie integrate,  in cui ogni singolo fa un’ attività economica specializzata che direttamente non può garantire immediatamente tutti i mezzi di sussistenza, nasce una nuova necessità, ovvero quella di lavorare oggi per procacciarsi il cibo domani o in un tempo futuro. Pertanto il baratto diventa inutile: non possono più avvenire gli scambi merce contro merce immediati, ma viene inventato il denaro, ovvero una unità di valore che permette di incassare adesso un beneficio e spenderlo quando necessario al bisogno in un tempo futuro. Per identificare il denaro, il potere di acquisto, vengono utilizzate le monete, ovvero pezzi di metallo prezioso (oro, argento o bronzo) pari al valore che si vuole riconoscere alla moneta. E’ tutto molto semplice, perchè 100 pezzi d’ oro valgono esattamente quanto pesano, e non c’ è nemmeno la necessità di cambio per le valute straniere: indipendentemente dalla civiltà che le ha emesse, ogni moneta vale esattamente il peso del materiale prezioso di cui è fatta. Lo scopo delle guerre era sì quello territoriale, ovvero conquistare terreni, imporre tributi e appropriarsi della produzione agricola altrui, ma soprattutto acquisire le risorse auree e le ricchezze dell’ avversario, che aumentava la possibilità di emettere moneta per la civiltà vincitrice. E questi meccanismi (moneta fatta in metallo) resistono fino alla fine del medioevo. Il commercio, non più realtà locale, comincia a divenire globale e la necessità di spostare ingenti capacità di acquisto diventa un’ esigenza pressante: i mercanti olandesi, inglesi, spagnoli e delle repubbliche marinare italiane cominciano a comprare merci ed esportare in Asia, medio oriente, impero ottomano, con Marco Polo fino in Cina e le Americhe, appena scoperte. I banchieri fiamminghi prima e genovesi poi ebbero un’ intuizione ed inventarono la lettera di credito (la mamma dell’ attuale banconota): un documento che garantiva il pagamento di un corrispettivo in denaro a chi lo presentasse al banchiere (o banco di credito, come veniva chiamato a quei tempi) che lo aveva emesso. Perchè  comprare quintali di grano in Medio Oriente era la prassi e pagare con navi cariche di oro e argento era ormai impossibile, sia per il rischio di finire depredati dai pirati, sia per l’ obbiettività scomodità del trasporto. E’ una intuizione geniale, e quello che è un intuizione di banchieri privati diviene una prassi degli stati: ora la moneta non è più fatta di metallo prezioso, ma entra in vigore la valuta, ovvero il denaro di carta. Un documento emesso dallo stato (o dal regno) che dava diritto all’ incasso presso la banca nazionale del paese emittente del corrispettivo valore in oro: si parla di “corso aureo” ovvero di denaro emesso pari al valore di oro posseduta dal paese emittente: un documento comodo e di facile utilizzo. Esempio, se uno stato emette 10 milioni di euro di banconote, doveva detenere 10 milioni di euro in oro presso le riserve della Banca Centrale. Evoluzione della specie e dell’ economia: scoppia la prima guerra mondiale e i danni (sia strutturali per le distruzioni occorse sia virtuali per le ripercussioni sulle economie dei paesi interessati) sono troppo grandi per poter essere pagati con la sola moneta esistente e circolante. C’ è la prima grave crisi recessiva della crisi moderna, la famosa “crisi del 1929” e gli economisti americani hanno un’ altra intuizione: visto che il denaro è sì un corrispettivo di valore, ma anche un mezzo per gestire l’ economia finanziando grandi opere infrastrutturali (e gli Stati Uniti d’ America stanno iniziando la loro rivoluzione industriale) si rendono conto che per fare crescere l’ economia è necessaria una capacità di investimento superiore alle riserve in oro della banca centrale del paese; per poter ovviare il problema è necessario emettere un valore di spesa (denaro) superiore al valore in oro detenuto. Nasce il “corso legale” del denaro: ovvero la valuta (nel nostro caso la Lira Italiana) ha un valore coperto per il 30/40% dalle riserve auree del paese e per il residuo 70/60% dalla fiducia dei paesi esteri nell’ economia del paese stesso. E nascono due nuovi “problemi”, l’ inflazione e il cambio delle valute. L’ inflazione: ovvero il deprezzamento della moneta quando vi è sperequazione tra quantità di denaro emesso e le opportunità di spenderlo o investirlo. E il meccanismo del cambio delle valute: essendo il valore del denaro rappresentato per una parte minima dalle riserve in oro (valore vero) e in maggioranza dalla fiducia nell’ economia del paese emittente (valore fiduciario), la valuta emessa da un paese con un economia forte e in crescita o con riserve auree ingenti vale più di quella emessa da un paese con un economia povera o con poche riserve in oro. Problema prima inesistente, perchè la moneta da dieci grammi d’ oro valeva sempre dieci grammi d’ oro, che fosse emessa da Francia, Germania, Inghilterra o chiunque altro. E nascono le fluttuazioni dei cambi, ovvero il denaro varia (spesso in maniera drammatica e rilevante) il suo valore in ragione dello stato di salute dell’ economia del paese che lo ha emesso. Si entra nell’ Euro e  i paesi aderenti adottano una moneta unica, identica e di pari valore per tutti. All’ inizio la moneta viene convertita mediante valori fissi (un euro viene cambiato con x lire, y marchi tedeschi o z franchi francesi) per cui ogni paese ha una capacità di spesa globale identica a quella rappresentata dalla vecchia valuta. Il denaro non viene più prodotto da ogni singolo stato (dalla Zecca di Stato in Italia) ma da un organismo centrale sovranazionale quale la BCE, la Banca Centrale Europea. Il suo compito è quello di gestire la produzione del denaro (fisicamente, stampando monete e banconote) e la sua quantità circolante, per evitare che troppo denaro emesso generi inflazione e deprezzamento dell’ euro sui mercati finanziari internazionali. La banca di stato (la Banca di Italia), socia al 14.57% della Banca Centrale Europea perde pertanto il suo compito di produttore di denaro: viene privatizzata divenendo un organismo compartecipato da soci privati quali le banche e le grandi assicurazioni italiane e che ha solo una partecipazione minima dello Stato tramite quote di proprietà dell’ INPS pari al 5% del capitale totale: il suo compito diventa quello di mediatore, tra chi emette il denaro (la BCE) e chi lo utilizza (lo Stato) immettendolo nell’ economia. E se lo Stato avesse bisogno di più denaro? Non potendo stamparlo autonomamente, se lo deve procurare facendoselo prestare; e lo stato si fa prestare il denaro emettendo titoli del debito pubblico (Bot, CCT, Btp e simili in Italia) che vengono acquistati da privati, banche o investitori nazionali o internazionali. Ma per evitare sperequazioni e perdita della credibilità nella valuta euro viene introdotto un nuovo parametro, ovvero lo “spread”: lo spread è il rapporto di valore tra i titoli di debito pubblico dei paesi aderenti alla valuta unica europea, che deve mantenersi (per non creare instabilità della valuta stessa) entro valori minimi o massimi, per evitare un valore e una redditività eccessivamente diversa tra l’ euro investito e prestato in Germania e lo stesso euro investito in Italia , creando differenze di consistenza valutaria che non dovrebbero esistere tra i paesi adottanti la stessa moneta, data la sua natura di valuta unica. Ovvero lo Stato per avere in prestito un euro deve pagare, come corrispettivo: – una cifra (bassa) pari al costo tecnico di emissione della valuta (stampa banconote e monete); – un costo tecnico necessario per remunerare gli intermediari (banca centrale europea e banca nazionale) che provvedono a cedere ad ogni singolo Stato la valuta necessari; – un tasso di interesse (variabile) che deve pagare la fiducia di chi “presta” il denaro acquistando titoli del debito pubblico, privati o finanziatori internazionali e i costi (detti commissioni) di vendita (o collocazione) di tali titoli. Per cui, ad esempio e con valori solo esemplificativi, la Germania per avere in prestito un euro da investire nella sua economia interna tramite emissione di titoli quinquennali potrebbe spendere un euro 1 (corrispettivo valore) + 0,05 (corrispettivo del costo di emissione) + 0.1 euro (costo di intermediazione, legato al lucro conseguito dai soci privati dalla banca nazionale e dalla facilità o meno di vendita dei titoli di debito pubblico emessi) + 0.20 (costo complessivo degli interessi pagati agli acquirenti dei titoli di debito pubblico emessi), ovvero per avere un euro in prestito da poter investire nella propria economia dovrà pagare in 5 anni 1.35 euro. Il costo di intermediazione è variabile ed è influenzato dall’ onestà dei soci privati della banca nazionale del paese, intermediaria nella distribuzione del denaro : costo basso se operano con etica, consapevoli dell’ influenza del loro operato sull’ economia del paese, costo alto se operano lucrando come normalmente fanno nei confronti dei soggetti privati, ovvero applicando una “tassa”, una commissione sul denaro da loro manipolato e collocato. Il costo di intermediazione e anche il tasso di interesse promesso sui titoli emessi vengono influenzati anche dall’ economia del paese che li emette: un paese con una economia sana e in crescita ha costi di intermediazione bassi perchè vende i titoli di debito pubblico con maggiore facilità e velocità e con tassi di interesse più bassi, perchè è più facile “comprare” la fiducia in chi ha un’ economia più stabile mentre le economie meno floride debbono pagare interessi più alti, per incentivare l’ acquisto di titoli rappresentativi di un’ economia più debole. Ad esempio per l’ Italia (economia meno forte) con intermediari privati che lucrano pesantemente sulla moneta che ricevono dalla BCE e introducono nell’ economia nazionale, il costo del nostro euro ricevuto in prestito potrebbe essere 1 euro (corrispettivo valore) + 0.05 (costo fisso per emissione valuta) + 0.2 (costo di intermediazione) + 0.35 (costo degli interessi, sempre nel quinquennio) ovvero per acquisire la possibilità di investimento di un euro extra risorse nazionali ne debbono spendere 1,60 euro. Per avere la disponibilità di un euro da investire nella propria economia la Germania spende 1.35 euro (con un onere aggiuntivo pari al 25%) mentre l’ Italia 1.60 (con un costo aggiuntivo pari al 37.5%); lo “spread” è dato da rapporto tra il costo della Germania (1.35) e il costo dell’ Italia (1.60) e non può superare certi valori senza creare instabilità nel valore dell’ euro nei mercati internazionali. E il signoraggio? E’ facile, come dice la parola stessa è “l’ aggio dei signori”, ovvero la percentuale, la commissione che chi gestisce il denaro fa pagare a chi lo chiede per utilizzarlo. Le banche sono usuraie, lo dicono tutti: non lo sono solo per i tassi di interesse che applicano sui mutui o ai finanziamenti ai privati, non lo sono nemmeno troppo quando rifiutano il medio credito alle imprese: lo sono (principalmente, e in maniera pesante) per i costi di intermediazione che fanno pagare (come soci della Banca di Italia) allo Stato per poter immettere valuta nell’ economia del paese. Costo (signoraggio) che non viene pagato dallo Stato di tasca sua ma bensì recuperato tramite nuove tasse (aumento IVA e accise sulla benzina) e tagli ai costi di gestione (soprattutto  sui servizi ai cittadini). Si parlava del “Governo Monti, il governo dei banchieri”: vero, il risultato di quel governo è stato quello di tutelare gli interessi di chi (banche, assicurazioni e istituti di credito) aveva investito in Italia difendendoli dal deprezzamento legato alla crisi: ad ogni costo, senza valutare minimamente l’ impatto sociale delle sue scelte in tema di economia. Finirò linciato e lapidato dagli economisti veri, ma ho cercato di esporre alcuni concetti (valuta a corso legale e a corso aureo, inflazione, svalutazione della moneta, spread e signoraggio) in maniera semplice, cercando di rifuggere dal “tecnichese” usato da certe persone per  frastornarci: perchè sono tutti concetti, ahimè, arbitri della nostra vita di tutti i giorni e della grave crisi che stiamo subendo. Comunque, i danni all’ economia italiana non vengono dall’ utilizzo dell’ euro come molti con molta superficialità asseriscono bensì dal fatto che il flusso di denaro che lo Stato movimenta per mantenere attiva l’ economia non viene gestito da un ente pubblico senza finalità economiche, bensì da un soggetto privato composto da altri soggetti privati che sui flussi di denaro creano il loro lucroso guadagno. Ma questa, come diceva la voce narrante alla fine di “Conan il Barbaro”, è un’ altra storia.