LA PANINI UN’ALTRA VOLTA VERSO L’AMERICA

LA PANINI UN’ALTRA VOLTA VERSO L’AMERICA

Il 6 gennaio 1945 a Modena apriva un’edicola. Come si intuirà dalla data non fu l’evento più clamoroso di quell’anno (successero giusto un altro paio di cose) però da lì partì l’avventura della signora Olga Cuoghi Panini e dei suoi otto figli verso la costruzione di un impero. E, sempre guardando al periodo, farlo senza armi ed usando la passione degli italiani (il calcio ovviamente) aveva, ed ha, una potente forza simbolica. Tra l’altro nel periodo i giornali non c’erano, perché Modena ancora non era stata liberata, non esattamente un dettaglio per un’edicola appena aperta. E quindi la famiglia Panini dimostrò la fantasia che ne avrebbe fatto la fortuna; cominciò vendendo tutto quello, di stampato, che aveva in casa: foto prese da giornali vecchi, libri, francobolli. E qualunque cosa fosse poi veniva messa in una busta, anzi in una bustina… Eh sì, la famiglia Panini di cui si parla è quella lì, quella dell’idea geniale di inventarsi l’album da riempire con le figurine dei calciatori. Prima da attaccare con la colla e poi “liberate” con l’introduzione di quelle autoadesive a metà anni settanta. Cambiamento questo che permise “l’invasione delle cavallette”: le figurine a quel punto sciamarono in ogni dove (diari, muri, cassonetti, piante d’alto fusto) entrando direttamente nel mito. E creando appunto l’impero di cui si diceva. Impero che ha tenuto il nome della famiglia fondatrice per tutti questi anni, ma che in realtà ha vissuto numerosi cambi di proprietà. Andandosene negli Stati Uniti ed in Inghilterra, per poi però tornare sotto controllo italiano, e ancora ripartire verso l’estero, in una specie di altalena durata trent’anni. Ed è di ieri la notizia che forse una nuova migrazione (a livello di controllo del pacchetto azionario, perché poi lo stabilimento modenese è rimasto lì dalla fondazione) starebbe per compiersi. Investitori americani, non meglio specificati, sarebbero interessati all’affare: una cosetta con una cifra di acquisto a nove zeri pare. Sia come sia la Panini il nome non lo cambierà, su questo ci sentiremmo di scommettere. Nome facile da orecchiare e da pronunciare praticamente in ogni parte del mondo, l’azienda emiliana “spara” da tutte le sue basi dislocate in giro nel globo terracqueo circa 5 miliardi di figurine all’anno. “Numeri che fanno girare la testa!” avrebbe detto “l’Ingegner Cane” di Mai dire Gol agitando la manina. Ed effettivamente pensare che, oltre ai prodotti alimentari, una delle nostre punte di diamante siano quei rettangolini colorati fa pensare a quanto sia meritato l’aggettivo “geniale” per l’idea venuta alla famiglia modenese. Famiglia che comunque, dai racconti dei familiari, pare che fosse già parecchio avanti nelle idee imprenditoriali: infatti, sfruttando la famiglia extralarge, la loro edicola nel centro di Modena già negli anni cinquanta sperimentava l’orario di apertura lungo: se non proprio H24 lì nei pressi. Visto che mamma Olga alzava la saracinesca alle 6 del mattino e poi la figliolanza, dandosi il cambio, teneva aperta l’attività fino a mezzanotte passata. E siccome le rivendite allora erano rare è facile immaginare che l’edicola diventasse qualcosa di più: un posto dove discutere di politica, costume e naturalmente di pallone. E magari sarà stata in una notte brumosa, cosa non rara in zona, discutendo con qualche cliente, che a Giuseppe Panini sia venuta l’idea di mettere in vendita quella partita di vecchie figurine di cui era venuto in possesso da una ditta milanese. Beh, sia come sia l’importante è che l’idea si rivelò una bomba: le figurine furono letteralmente spazzolate, e da lì fu naturale pensare a produrle direttamente, per poi nel 1961 dare alla luce il primo storico album con Nils Liedholm in copertina. E con lui le mitiche bustine il cui contenuto veniva stampato e poi mescolato con l’aiuto di un badile: metodo primitivo magari ma funzionale. Non proprio le “Badilate di cultura” del corregionale Freak Antoni, ma quasi. Perché magari di cultura nelle figurine ce n’è sempre stata il giusto, però una cosa che smuove la passione di milioni di bambini (e non solo) di svariate generazioni consecutive magari non merita il Nobel, ma un ideale premio Oscar sì. Nel corso degli anni le figurine Panini oltre al calcio sono “atterrate” nel basket e altri sport. Ma poi hanno contagiato anche le Serie tv, il cinema, la moda, la natura, insomma letteralmente tutto lo scibile. Si fa fatica a trovare qualcosa su cui non sia stato fatto un album di figurine. Forse la politica finora ne è stata esente, ed è un peccato perché sarebbe stato interessante seguire i frenetici cambi di casacca di molti dei protagonisti (anche durante la stagione, nel mercato di gennaio…). Insomma l’impero Panini non vedrà la fine del suo dominio neanche se dovessero arrivare ancora una volta “le giacche azzurre” del generale Custer, cioè gli americani. Americani che evidentemente trovano che il prodotto italiano, almeno calcistico, qualche interesse ancora lo abbia a quanto pare. Dopo le numerose squadre ora anche le figurine. Con le squadre per ora non è andata proprio splendidamente, i successi tardano ad arrivare e in molti casi il gradimento popolare (vedi Roma) è in caduta libera. Però quelli sono tosti non si arrendono facilmente, e infatti se non si può avere la Champions sul campo almeno quella nel campo delle figurine comprando la Panini la si vince di sicuro. Intanto in corso Como a Modena l’edicola dei Panini non c’è più, però al suo posto c’è una scultura in bronzo. C’è un calciatore che fa una rovesciata, e chiunque (ma davvero chiunque) nel mondo con un riflesso condizionato associa quell’immagine ad una bustina che anelava da bambino. Forse ci sbagliavamo, l’Oscar è troppo poco…