30 ANNI SENZA GAETANO SCIREA
Trent’anni da quel 3 settembre 1989. L’ultimo, tragico atto di vita dell’Angelo Calciatore, di Gaetano Scirea, del mio amico, del campione che tutto conquistò con la Juventus fino a trionfare, in quel lucente luglio 1982, al Mundial di Spagna: lui, gemma preziosa e pura di quel gruppo omerico guidato in panchina da Enzo Bearzot, il Vecio narrato da Giovanni Arpino, l’Ulisse con la pipa e la mutria severa. Era, infine, diventato, quel libero che giocava guardando le stelle e le nuvole, vice allenatore in bianconero al fianco di suo fratello maggiore Dino Zoff. Poi, quella strada in Polonia e quell’assurdo incidente automobilistico, il dolore e il pianto, quel senso lacerante di smarrimento e incredulità, di vuoto. Di rabbia. Quel rosario di “non è vero, non è possibile”.Ma lui è ancora qui al mio fianco, posso vederlo e sentirlo, con quel suo sorriso leggero, appena accennato, con il suo abbraccio caldo. Gaetano era l’amico gentile, generoso, disponibile, era il pane in tavola, parlava con uno sguardo, con i suoi silenzi. E in questa società così volgarmente colma di parole sbagliate, esagerate, rumorose, volgari ci manca lo sguardo e ci manca il silenzio di Scirea. Quel silenzio che racchiudeva tutti i versi limpidi e tutti gli aggettivi perfetti, che possedeva quel bene profondo e segreto che possiamo chiamare epifania e bellezza, il tempo che accarezza e non ferisce.Mai una espulsione, il simbolo perfetto della classe cristallina e della correttezza come filosofia di vita, non solo sportiva. Sapeva fare di tutto, anche il centrocampista e il goleador: con la spontaneità e la maestria di chi è dotato di un talento innato, di chi possedeva nelle proprie vene, come una benedizione, come un segno indelebile e ancestrale, quel saper dettare i modi e i tempi al gioco, a un semplice pallone. Giocare, sempre, con allegria: questo il suo primo comandamento calcistico. Per la felicità degli spettatori.Lo amavano i compagni e lo rispettavano gli avversari. Era la perfezione che sposava l’umiltà: era un fuoriclasse nel senso pieno del termine, del concetto, della definizione.Agli allenatori dei giovani calciatori chiedo questo: prima di cominciare una stagione, ma anche un allenamento, una partita, radunate i vostri atleti, lasciando i genitori fuori dai cancelli, e raccontate loro chi era Gaetano Scirea. Raccontate, vi supplico raccontate, di quel libero, in tutto e per tutto, che vestì la gloria con innocenza, che fu etica ed estetica, quercia e giglio; quel fratello, trovato un giorno sul nostro cammino, che non dimenticheremo mai. E che ancora ci indica la strada giusta. Così ti saluto, Gaetano, con questi versi di Jorge Luis Borges: “Questa penombra è lenta e non fa male; / scorre per un mite pendio / e somiglia all’eterno”.
