PARLAMENTO IMPOVERITO, PARTE L’ATTACCO DEI PRESIDENZIALISTI
Il tempo questa volta non sarà galantuomo se non avremo chiare le idee fin da ora. Abbiamo avuto modo di parlare del ridimensionamento del numero dei parlamentari, da poco approvato in quarta lettura, facendo due distinguo: la notevole compressione della rappresentatività politica che ne è scaturita richiede urgentemente di essere accompagnata dalla creazione di un sistema di contrappesi per riequilibrare il taglio tanto desiderato (per non dire imposto) dai 5 Stelle. Nel centrosinistra si discute ancora sull’impossibilità di poter fare diversamente, ed è vero. In effetti il “taglio” era una condizione non negoziabile posta dai Pentastellati per far nascere un nuovo governo, e sinceramente non si può accusare chi “da quelle parti” ha optato per l’accettazione del ridimensionamento. Era il solo modo per cercare di salvare il paese dal sopravvento reazionario dell’ormai lanciato Salvini.Resta il dato di fatto che oggi abbiamo un Parlamento debole, delegittimato e facile preda dei fautori del presidenzialismo. L’Italia rischia di pagare un prezzo altissimo al populismo incosciente e politicamente analfabeta di una parte politica che ha pure esultato per un risultato plebiscitario. Si stringe il cuore quando scorrono le immagini di un Di Maio che gioisce senza capire che la trappola del centrodestra è scattata grazie alla cecità dei 5 stelle. Si sono chiesti quale motivo ha spinto il centrodestra, che ad ogni passo grida “elezioni elezioni”, a votare in favore del ridimensionamento?Andiamo sul concreto, ritorniamo sulla Terra e cerchiamo di capirne i motivi. L’obbiettivo era ed è, il presidenzialismo. Tanto che, la destra conclamata, da Fratelli d’Italia alla Lega, ha già depositato in Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per l’elezione diretta del Capo dello Stato. Non crediamo ci sia bisogno di spiegare cosa comporta un presidenzialismo in presenza di un parlamento debole e poco rappresentativo come attualmente è diventato quello italiano. Il mito del personaggio forte, del conducator che ordina e indica la strada a prescindere dalla volontà popolare, da sempre rappresentata dalla democrazia parlamentare, sta per realizzarsi. Tutto fatto quindi? Bé non proprio, ma la strada si fa in salita, e pure molto ripida. La battaglia delle battaglie, la soglia del Piave, è sicuramente rappresentata dalla legge elettorale. Ad una destra che chiama a raccolta i sostenitori del maggioritario “secco” (per dirla alla Salvini, “chi prende un voto in più vince”), l’unica possibilità che potrebbe salvare la democrazia italiana da una situazione di non ritorno potrebbe risultare solo un sistema elettorale basato sul proporzionale di lista con preferenza e con il recupero dei resti su base nazionale, sempre mantenendo una soglia piuttosto bassa.Il problema è dato dalla consistenza di un governo che non sappiamo quanto possa rimanere unito nel condurre una battaglia per impedire l’elezione diretta del Capo dello Stato (falso ammiccamento al Cittadino che verrà seppellito dai richiami affabulanti di una destra tanto scaltra quanto determinata). Non meno importante, anzi, il contrario, l’affermazione di una legge elettorale proporzionale con le caratteristiche sopra elencate. Il lavoro dei costituzionalisti è determinante per considerare tutti gli aspetti che potrebbero arginare ulteriori azioni di indebolimento della rappresentatività. Uno dei principali è dato dal rafforzamento della base regionale chiamata ad eleggere il nuovo senato, così come dovrebbe essere aumentata la platea degli aventi diritto al voto per l’elezione del Presidente. Ovviamente si parla di uno dei punti già nel mirino dei presidenzialisti che vorrebbero ridurre il numero dei rappresentanti regionali che parteciperanno al voto.Sia pur avveniristica, c’è anche l’opzione “miracolo”, ovvero la raccolta delle firme per il referendum sulla riforma, del quale peraltro non si può prevedere l’esito anche nel caso si riesca a raccogliere l’adesione da parte di 500.000 cittadini oppure di un quinto degli attuali deputati o senatori. Senza contare che, nell’ipotesi che si arrivi alla consultazione popolare, si porrebbe nuovamente il problema all’interno della compagine governativa. I Pentastellati si ritroverebbero con i vecchi compagni di merende e la continuità dell’esecutivo giallorosso ritornerebbe in forse. Prima di quest’ultima opzione è meglio pensare a costruire argini ben solidi attraverso un percorso, sia pur difficile, in grado come si è detto, di restituire credibilità e forza ad un Parlamento depauperato della sua originaria capacità di rappresentanza popolare.
