LIBANO, LE PROTESTE CONTRO LE LOGICHE PREDATORIE NEOLIBERISTE

Ci sono veramente troppi piani di cui tenere conto in questi giorni in Libano: c’è una protesta contro un establishment politico e più in generale contro le logiche predatorie neoliberiste (questo un po’ ovunque) che hanno reso il Libano sempre più diseguale, sempre più a pagamento, con migliaia di persone che anche per questo motivo si affidano al welfare parallelo fornito dagli stessi partiti settari del Paese, in una eterna logica clientelare. Ci sono poi Amal, Hezbollah e il Fpm, i tre partiti che avrebbero una maggioranza in parlamento ma che lo scorso anno hanno formato un governo di unità nazionale anche con gli altri partiti – alcuni dei quali oggi affermano di condividere la protesta -, le cui leadership (le leadership, non le basi) sono alleate, e che a) considerano la protesta appannaggio di una minoranza, a loro dire “teppista” e autoreferenziale; b) queste leadership credono di venire incontro alla protesta (che guardano con estremo paternalismo) lavorando a un governo tecno-politico, mentre la protesta chiede come risultato minimo la formazione di un governo interamente tecnico, il ché segnala un crescente ed enorme scollamento di prospettive che rischia di deflagrare; c) le basi di questi partiti – così come le basi di tutti gli altri, anche quelli che sono usciti del governo, gelosamente legati allo status quo, al pattugliamento esplicito o implicito del territorio, e che però si sentono di meno nella cronaca mainstream perché conducono azioni meno eclatanti o in aree meno centrali – che hanno assorbito dalle leadership l’idea di una protesta eteroditetta (rafforzata dalle parole delle autorità americane), nociva per la quotidianità delle persone, e che “tiene in ostaggio” il Paese; d) le basi di Amal ed Hezbollah che vedono alla fine del tunnel il tentativo di indebolire o distruggere la “resistenza”, in quello che loro vedono/temono come un futuro a “guida americana”, che finirebbe anche per privarli dell’assistenzialismo legato ai servizi forniti dai partiti; e) queste basi di Hezbollah e Amal (chi parla di “hezbollah e amal” e Nn di supporters nn ha davvero capito nulla, Hezb nelle attuali condizioni non ha alcun interesse ad apparire come il “castigatore” e strutturalmente è il partito che ha meno da temere di tutti da possibili stravolgimenti, per motivi già esposti) attaccano manifestanti che da una parte vengono giudicati superficiali, privilegiati e minoritari, dall’altra come i “vettori”, gli strumenti di un disegno americano che mira ad estinguere un sistema che a loro stessi – in una logica ben poco liberista, anche se Joseph Daher in un bel libro ha evidenziato diversi aspetti in quella direzione delle politiche economiche di hezbollah, pur al netto di un impianto di welfare parallelo, a beneficio di tutte le comunità, che in molti si sognano – garantisce a migliaia di loro la sussistenza o introiti, oltre a mantenerne il potenziale ruolo di reclute da mandare ad un eventuale fronte (un certo livello di indigenza controllata fa sempre comodo ai partiti-milizia che hanno bisogno di volontari, meglio se disoccupati), specie nelle aree più povere del paese; f) queste stesse basi avrebbero più di un vantaggio da un sistema (utopico) in cui l’istruzione e la sanità sono pubbliche ed efficienti ma al tempo stesso vedono oggi nel partito l’unico referente in questo senso, un referente che peraltro si serve di una oliata macchina di propaganda in ottica fidelizzante; g) è evidente come queste basi abbiano timore del vuoto, perché esponenti di movimenti pienamente parte dell’establishment ma che per attori esterni dovrebbero essere gli unici obiettivi della protesta, tali che se non esistessero non dovrebbero esistere motivi per protestare; h) la piazza che legittimamente non percepisce queste preoccupazioni e si polarizza sempre di più, riducendo queste basi alla fanteria dell’establishment sotto attacco, dimenticandosi però sempre che la fine del settarismo formale produrrebbe anzitutto uno scenario in cui vince la demografia, e quindi partiti che possono contare sui potenziali voti “comunitari” della comunità più numerosa del paese (quella sciita), motivo per cui formalmente le loro leadership sono sempre state a favore della fine del settarismo, e per il proporzionale con circoscrizione unica; i) a differenza di altri luoghi nella regione, la riappropriazione degli spazi pubblici non è inedita, perché storicamente sono proprio i supporters di hezbollah e Amal ad aver diverse volte occupato spazi pubblici in protesta contro questa o quella misura, e i cui leader hanno spesso avvertito che “se scendiamo in piazza, ci rimaniamo finché nn raggiungiamo i nostri obiettivi”; L) l’idea di questi supporters è che la piazza miri alla distruzione dei loro partiti ma al mantenimento di un sistema liberista e “amico” degli Stati Uniti, o al limite suo referente; m) le proteste invece mirano all’anno zero della repubblica libanese, immaginando un sistema di cittadini e nn di membri di comunità, tale da poter favorire la costruzione di un paese giusto ed equo, che però deve necessariamente passare per la fine dei partiti confessionali, che al momento impediscono ad una serie di persone generalmente povere di annegare nella spietatezza del liberismo estremo, dove tutto si paga e si paga caro, e dove se hai ancora una casa dopo i bombardamenti israeliani è perché te l’hanno ricostruita i partiti, non lo Stato, che non esiste; n) la non esistenza dello stato, sostituito da una serie di “Stati confessionali della mente” espressi dalle formazioni settarie, che assolvono ad un certo tipo di sussidiarietà, è uno degli aspetti che rendono più complicate le proteste, che rimangono giustamente diffuse e generali, ma che rischiano sempre di risultare vaghe negli obiettivi espliciti agli occhi di chi difende lo status quo garantitogli dal suo partito, più che dallo Stato; o) sia le basi che le leadership di questi partiti sono convinte che l’obiettivo di breve termine della protesta (o di chi a loro dire la “dirige”) sia quello di arrivare subito ad un governo che li escluda o li marginalizzi (e delegittimi o mini alla radice la “resistenza”), nonostante la maggioranza parlamentare di cui sono titolari, e che questo obiettivo di breve risulti ai manifestanti molto più importante di quello di lungo termine, cioè la fine del confessionalismo e di un sistema che perpetua strutturalmente la corruzione (di cui i loro partiti sono accusati mediamente meno degli altri); p) paradossalmente queste basi chiedono il rispetto delle logiche democratiche emerse dalle elezioni, che li ha visti maggioritari, e che però perpetuano un sistema politico istituzionale ingiusto, corrotto, insostenibile; q) prima o poi inizieranno ad emergere le fratture intra partitiche – sopratutto in partiti che sono strutturalmente oggetto di diversi livelli di analisi – più sostanziali, per il momento siamo ancora alla fase della frattura che per molti versi è generazionale, o comunque espressa in termini di un diverso modo di guardare alla politica, più che ad un diverso modo di guardare al ruolo dei partiti stessi, alla loro utilità o inutilità, alla loro attualità o inattualità, all’idea che una alternativa concreta esista e si possa toccare con mano senza scottarsi, sempre tenendo conto che questo è un Paese artificiale, la cui identità nazionale, se è emersa (ad un livello inferiore di quello comunitario), lo ha fatto nel conflitto e nelle tensioni, nella sottrazione graduale, e sicuramente non nella riconciliazione. Questi giorni scrivo di meno perché sto riflettendo, e perché tendo ad avere più spesso pensieri negativi, oscuri, che rischiano di farmi annegare in un pessimismo cosmico che conosco fin troppo bene