E’ GIUSTO FAR CONOSCERE ALLA FAMIGLIA DEL DONATORE CHI SIA IL RICEVENTE DI UN ORGANO?

E’ GIUSTO FAR CONOSCERE ALLA FAMIGLIA DEL DONATORE CHI SIA IL RICEVENTE DI UN ORGANO?

Il Centro Nazionale Trapianti appoggia la proposta di far conoscere alla famiglia del donatore chi sia il ricevente di un organo. In base alla considerazione che quest’ultimo “non sa chi ringraziare” e che i parenti del donatore vorrebbero sapere quale sia il risultato della loro generosità. Sulla carta sembra ragionevole, e molto umano. Nei fatti, se oggi la legge impedisce che ci sia questa possibilità è per ragioni molto solide. Del tipo: quale dipendenza psicologica si instaurerebbe tra chi ha ricevuto l’organo e grazie a quello vive e la famiglia di chi lo ha donato? Si sentirebbe in debito perpetuo. E cosa accadrebbe se un giorno un parente del donatore si presentasse a casa sua dicendogli che ha bisogno di un prestito? Ancora: cosa scatterebbe nella mente di un genitore che vede crescere un bambino che porta dentro il cuore o il rene di suo figlio morto? Quale contatto permanente vorrebbe trovare con quel bambino, entrando nella vita di quella famiglia, come se un pezzo di suo figlio ancora gli appartenesse? E poi: se dopo il trapianto c’è il rigetto, se dopo un anno il ricevente muore, quale lutto raddoppiato ci sarebbe per chi ha donato quegli organi? È lo stesso discorso delle adozioni: c’è una associazione di figli adottati che vuole costringere per legge chi li ha abbandonati a essere rintracciabile, oggi è vietato. Anche lì, la motivazione è che sia diritto della persona sapere chi siano i genitori biologici, se ha fratelli biologici, riallacciare rapporti. Con quale reale situazione, che si creerebbe nelle nuove famiglie costituite dopo quell’abbandono? E quale madre che oggi può disconoscere il figlio partorendolo in sicurezza in ospedale continuerebbe a farlo, sapendo che dopo trent’anni questo busserà alla sua porta? Sembra un discorso crudele, e certamente lo è nel vissuto di chi sia stato abbandonato: ma le motivazioni che hanno spinto una genitrice a quel gesto saranno state tanto enormi che rimetterle in discussione dopo decenni, riaprire le ferite che hanno portato a quella decisione più che il riconoscimento di un diritto ( di chi è stato abbandonato) sembra una vendetta nei confronti di chi lo ha fatto. Talvolta, il meglio è nemico del bene. E come dicono gli inglesi, bisogna sempre pensare due volte a quello che si desidera: potrebbe realizzarsi.