PERCHÈ FU ORDITA LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA?
Che cosa è successo cinquanta anni fa In Italia? Perché fu ordita la strage di piazza Fontana? Perché tre giorni dopo morì Giuseppe Pinelli?Vi consiglio tra tanti libri dedicati ad allora un paio che, a mio parere, illuminano il problema.Il primo si chiama “Prima di Piazza Fontana”, edito da Laterza, autore il giornalista Paolo Morando.Il secondo si chiama “Pinelli l’innocente che cadde giù”, edito da Castelvecchi, autore il sottoscritto.Ce ne sono anche molti altri di libri, a loro modo utili per vari aspetti, ma per quanto riguarda il grumo Affari Riservati il mio consiglio privilegia i due testi indicati. Questi due libri raccontano infatti in sequenza come in Italia fu organizzata lungo il corso di tutto il 1969 una straordinaria montatura che ha preso il nome di “teorema anarchico”. Cioè un meccanismo con cui furono coperti gli stragisti neri che puntavano con una raffica di attentati dinamitardia un colpo di stato scaricando tutte le accuse sulle fragili spalle dell’ala più piccola e vulnerabile della sinistra, gli anarchici scelti come capri espiatori. Di quel meccanismo gli orditori hanno nomi e cognomi.Il teorema anarchico si dissolse poi nel processo agli anarchici del 1971, a due anni dalla strage e dalla morte di Pinelli, grazie anche a un pm milanese che si rifiutò di utilizzare il complotto investigativo ordito contro gli anarchici incarcerati. Quel pm fece scarcerare i detenuti che ormai si erano fatti quasi tre anni di carcere, chiedendo condanne solo per alcuni attentati “minori che quegli anarchici avevano in effetti commesso. Scarcerando gli anarchici pose le basi della corretta attribuzione di tutte le bombe principali fatte esplodere nel corso del 1969 alla cellula nera degli ordinovisti veneti guidati da Freda e Ventura. La relativa sentenza con le condanne degli ordinovisti sarebbe arrivata poi nel 1981.Quel magistrato controcorrente si chiamava Antonio Scopelliti, era un democratico, sarebbe stato ucciso poi nel 1991 in Calabria dalla criminalità organizzata.Ma chi aveva ordito quel teorema sulle bombe del 1969?La regia era stata della Divisione Affari Riservati del ministero dell’Interno, il servizio segreto del Viminale costituito da funzionari che operavano avendo a propria disposizione e sottostanti gli Uffici Politici delle Questure di tutta Italia, compreso quello di Milano.La Divisione, conosciuta anche come “noto ufficio” era diretta di fatto da Federico Umberto D’Amato che aveva come vice Silvano Russomanno. Quest’ultimo è il funzionario che ha guidato a Milano dopo la strage di Piazza Fontana l’intera inchiesta. Lo ha fatto col supporto di molti altri funzionari del servizio segreto del Viminale calati a Milano nelle ore successive alla strage. A Milano l’Ufficio Politico diretto da Antonino Allegra e dal suo vice, il giovane commissario Luigi Calabresi, applicò senza alcun tentennamento quel teorema che aveva portato in carcere un nutrito gruppo di anarchici già nel corso del 1969 e che stava puntando sull’editore Giangiacomo Feltrinelli, bersaglio che in quel 1969-1970 non fu raggiunto. A occuparsi dell’inchiesta era stato l’Ufficio Politico della Questura di Milano e Luigi Calabresi ne era stato un efficiente esecutore.In questo impianto incappa e resta vittima a 72 ore dalla strage di Piazza Fontana il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, morto in seguito a una terribile caduta dal quarto piano della Questura di via Fatebenefratelli in cui era in corso il suo interrogatorio.A tutt’oggi non sappiamo come sia “caduto” Pinelli.Sappiamo però che le due inchieste condotte dalla magistratura sulla sua morte negli anni ’70 sono approdate a un nulla di fatto, sostanziato dall’ipotesi inverosimile di un presunto malore di Pinelli. Ma soprattutto sappiamo oggi che le indagini non hanno minimamente sfiorato quella presenza, peraltro massiccia, di funzionari del servizio segreto “Affari Riservati” giunti in massa da Roma per prendere di fatto possesso degli uffici della Questura di Milano. Le due indagini degli anni ’70 si sono infatti limitate a “sentire” i cinque presenti ufficialmente (indicazione del Questore Guida) nella stanza del commissario Calabresi al momento della “caduta” di Pinelli, quattro brigadieri di ps e un tenente dei cc, senza mai sfiorare gli altri presenti nell’Ufficio Politico della Questura di Milano, una quindicina almeno di agenti segreti del Viminale.Tutto questo lo si apprende oggi grazie alle desecretazioni dei documenti sulle stragi avviata dalla Direttiva Renzi del 2014 che ha messo a disposizione molti documenti dimenticati o ignoti sulle stragi in Italia. Compresi i verbali giudiziari con cui magistrati inquirenti di Venezia e Milano sentirono tra il ’96 e il ’97 i funzionari del servizio segreto del Ministero dell’interno, verbali poi a lungo finiti nell’oblio.Da questi documenti, già in parte noti grazie al libro di Enrico Maltini e Gabriele Fuga “A finestra c’è la morti” uscito nel 2012 e ora ripresi ed estesi col mio libro in cui sono confluiti anche ulteriori verbali, si ricava un nuovo quadro su quelle ore a Milano in cui muore Pinelli. Il quadro riemerge dalle deposizioni inquietanti e compromettenti rese a metà degli anni ’90 dai funzionari dei servizi segreti alla magistratura senza però che ne sia scaturito alcun atto rivolto a riaprire l’inchiesta sulla morte di Giuseppe PinelliEppure le dichiarazioni sono clamorose, i funzionari concordemente dicono di essere stati i padroni dell’inchiesta, dicono di aver portato loro a Milano la lista degli anarchici, descrivono rapporti tra il loro servizio e gli uffici politici come rapporti di totale sudditanza, rivelano di aver alimentato il teorema con fonti come quella del cosiddetto Anna Bolena da cui sono nati l’arresto di Valpreda e il fermo di Pinelli. In un verbale si dà anche una posizione di Pinelli di fronte alla balaustra della stanza da cui sarebbe caduto, come “di spalle” alla finestra…..Una parte di questi uomini non c’è più, molti sono morti, alcuni di quelle ore sono però ancora vivi. In un paese realmente democratico non si dovrebbe esitare neanche un momento a riprendere in mano la questione della morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli cercando di dare una definitiva risposta a ciò che è successo nella notte di cinquant’anni fa in quella stanza al quarto piano di via Fatebenefratelli a Milano.
