TRIPOLI. VOLANO BOMBE DI PATERNITA’ INCERTA. L’ITALIA TEMPOREGGIA
Una esplosione e saltano per aria, lasciandoci la vita, numerosi giovani allievi di una Scuola militare, in Tripolitania. Quanti? Dapprima si parla di 28, poi voci di una quarantina. Poi ancora, da un sito che dicono vicino al governo della Cirenaica, si parla di 70. La Libia, pare tutta la Libia, sembra sconvolta. E’ come constatare il decesso del ragazzo della porta accanto. A questo punto Haftar prende la parola. Noi non c’entriamo. La rivendicazione via internet? Una fake news. Gli autori? Al Qaeda o comunque integralisti criminali. La prova? L’esplosione viene dal dentro dell’edificio sede dela Scuola militare. Attentato dunque, non bombardamento. E’ un primo gesto che rivendica innocenza, dopo una sequela di dichiarazioni che inneggiavano alla distruzione del nemico. Tutto vero o sensazione di avere sbagliato? Si vedrà, per il momento non resta che riprendere il filo del discorso. Libia, dove eravamo rimasti? Solo diversi mesi fa Haftar, a capo del governo della Cirenaica aveva preannunciato una guerra lampo che doveva culminare nella conquista di Tripoli, dunque della Tripolitania, con relativo spodestamento del leader locale (Serraj) che godeva di riconoscimenti internazionali come quello delle Nazioni Unite. La guerra lampo di Haftar non fu tale e tuttora prosegue. Al ritmo, dapprima lento, si tenta di dare un’accelerazione. Ma anche il riconoscimento internazionale di Serraj ha fruttato ben poco al suo rivale: l’appoggio evanescente delle Nazioni Unite; la vicinanza del governo italiano, più significativo quanto a parole che quanto a fatti; il saluto dell’alleato della prima ora (gli Stati Uniti) che manifestano la fattiva intenzione, ora tradotta in pratica, di cambiare cavallo. Fu così che Serraj, per resistere, cercò di allargare la cerchia dei propri alleati, dalle parole ai fatti. Vale a dire dalle parole degli Stati Uniti, che altro non avevano realizzato se non il delegare l’Italia come fantomatica cabina di regia, a qualche banda armata. Come quelle di Misurata capaci di rappresentare un muro contro Haftar grazie alle proprie capacità militari. D’altronde anche noi italiani che altro avevamo fatto se non cercare il supporto di bande locali (ufficialmente Guardia costiera libica) per tutelare i nostri interessi? Interesse prevalente? Non certo, a vedere i risultati, la pacificazione della zona e il riproporci come paese guida, visto che con l’Eni da quelle parti avremmo qualche interesse da difendere mica di poco conto, come ai tempi di Gheddafi buon anima. A noi, per ragioni di ordine interno premeva e preme in primo luogo porre un argine ai flussi migratori via mare. Operazione in parte riuscita e in parte ben reclamizzata, ma che implicava la chiusura di molti occhi sui luoghi di detenzione in cui venivano accatastati gli aspiranti migranti. Di cabine non se ne videro e di registi nemmeno. Nel frattempo Serraj resisteva oltre le previsioni di Haftar che, per parte sua, poteva contare su parecchi alleati a livello militare. Un elenco comprensivo di sauditi, emiri, russi (in veste, non ufficiale, di contractors), francesi, inglesi ed egiziani. Ma la guerra lampo non aveva fulminato nessuno e così Haftar cercò di mobilitarsi meglio. Stessa cosa fece Serraj, con una mossa a sorpresa. Visti vani i richiami all’Italia e ai paesi della limitrofa area maghrebina (come Tunisia e Algeria) il nostro esternò le sue richieste in quel di Ankara. E fu così che Erdogan rispose. Non certo per ragioni umanitarie. Il “Sultano” non vedeva l’ora di estendere la sua presenza militare, confermata ufficialmente stasera, al Mediterraneo. Nostalgie di un Impero ottomano che nel tempo dei tempi ci vide accaniti competitors e al quale oggi guardiamo come spettatori sorpresi? Anche, ma non si tratta solo di prestigio. Presenza nel Mediterraneo per Ankara significa anche rompere le uova nel paniere a un progetto di pipeline marittima che interessa l’odiata Grecia, ma anche Cipro, Egitto e Israele. E magari per qualche miliardo di lavori pure l’Italia. Già, ma noi siamo ancora alleati di Serraj, quando ce lo ricordiamo, che fare? Cosa fare pare saperlo Haftar, che grida subito al nemico ottomano alle porte, ricordando pure che Erdogan potrebbe rinverdire antichi sodalizi, portandosi appresso le milizie dell’Isis e simili, con cui già trescò tra Siria ed Iraq. E gli alleati di Haftar? Egemonia possibile dei russi con Macron apparente frutto della campagna acquisti di Mosca in terre d’occidente (altro che Salvini). Ma anche qui a naso, cioè a quanto suggerisce l’odore del petrolio, lo scontro dovrebbe già prevedere, nel medio periodo, una mediazione russo-turca a riproduzione di quella maturata in terra siriana. In questo caso il petrolio, vedi gasdotto Turkish stream, anziché dividere provvederebbe ad anticipare una riconciliazione tra i primattori dei due schieramenti (Mosca con Bengasi e Ankara con Tripoli). Più risoluto di tutti potrebbe essere allora al Sisi e dunque l’Egitto. Contro Erdogan per ragioni di petrolio, contro Serraj perché amico degli odiati Fratelli musulmani e chi più ne ha più ne metta. Tornando a Serraj e ad Haftar: entrambi più forti ed entrambi in grado di uccidere un maggior numero di nemici. A proposito del rischio di lasciarci la pelle. Che ci stiamo a fare noi in Libia. Il Generale Camporini dell’Istituto Affari Internazionale, dice che alla fine una decisione la dovremo prendere. O in un senso o nell’altro. Pare di capire: o sostenere Serraj manu militari (dunque come Erdogan e più di Erdogan); oppure disimpegnarci come oggi e più di oggi, ma magari avendo una strategia nel cervello. A proposito. Per martedì una delegazione Ue era prevista a Tripoli. In cabina di regia il nostro Ministro degli esteri Luigi Di Maio. Pare proprio che la missione verrà rinviata. Dobbiamo fare presto, ma per decidere sul come agire in fretta ci vuole tempo.
