LE ATTIVITÀ COMMERCIALI A CONDUZIONE FAMILIARE SONO SEMPRE MENO

LE ATTIVITÀ COMMERCIALI A CONDUZIONE FAMILIARE SONO SEMPRE MENO

Oggi voglio parlare di quel tesoro straordinario che stiamo perdendo pezzo dopo pezzo e che sono i piccoli negozi. E per piccoli non intendo solo le deliziose bottegucce di quartiere, ormai pressoché già defunte, ma anche quei negozi più grandi, caratterizzati da una conduzione personalizzata, a volte familiare, ma spesso semplicemente personale di qualcuno che ha coraggio e visionarietà. Perché di visionarietà ce ne vuole tanta oggi, di questi tempi malefici in cui ogni cosa, dai sentimenti ai risparmi, alle tradizioni e ai princìpi, viene travolta da un’orda di squallore massificato incontrollato e misteriosamente agevolato da burocrazia demenziale, indifferenza e incapacità politica e abbandono di chi dovrebbe governare e controllare, figuri che nemmeno nei Miserabili di Victor Hugo troverebbero asilo, e invece oggi pretendono di ricoprire cariche pubbliche. I piccoli negozi sono, o forse si dovrebbe già dire erano, veri e propri presidi di umanità sul territorio. Baluardi di comunicazione, socializzazione, sicurezza, tradizioni, amicizie, confronti, diversificazione e leale concorrenza. Il negoziante era uno di famiglia, lo conoscevi, lo salutavi, lo sentivi presente, attivo. Con la sua carica umana, la voglia di crescere, e di guadagnare, ovvio, ma anche con la voglia dell’orgoglio di farcela, di essere bravo, di dimostrarsi in gamba, con i prodotti migliori, le cortesie per il cliente, i sorrisi, i consigli. Le luci di quelle vetrine illuminavano le strade, rendendole più sicure, più amiche. Le insegne coloravano le sere e le notti. Le vetrine erano banchi di sogni, di desideri, di punti di arrivo, di scelte. Le stagioni si alternavano nelle decorazioni delle vetrine, rassicuranti, amichevoli, in una gara di bellezza col negozio vicino, con la voglia di essere la vetrina più bella, il negozio più elegante della via, del quartiere, della città. Oggi, intere strade sono buie, serrande abbassate, chiuse. Negozi storici falliti, abbandonati, perduti. E le strade si fanno scure, tristi, pericolose. Imperano orridi segnali di degrado e abbandono: immondizia, graffiti e scarabocchi mostruosi a impataccare muri e monumenti, baracche, lampioni rotti, e soprattutto un senso di morte, di fine. La rappresentazione dell’agonia di una civiltà, la nostra, che aveva tanti difetti forse, ma contava sull’esercizio plurimillenario del diritto, dell’arte, della cultura, delle tradizioni e della vita sociale. Questo si fa e quello non si fa. Semplice, chiaro. Regole. Norme. Oggi passo davanti a un’altra serranda chiusa dove c’è scritto, su un cartello a mano “Chiudo, non ce la faccio più. Scusate”. Scusate. Chiede scusa, lui, che non ha colpe, se non quella di essersi trovato sulla strada di questo elefante mastodontico, questo mammuth epocale che ci sta schiacciando. E al cui confronto gli elefanti di Annibale sono microbi. Ma microbi che ci avevano avvisato.