TRAME SAUDITE SU BESOZ
L’Onu chiede chiarezza e invoca un’indagine per accertare le eventuali responsabilità saudite nello spionaggio telefonico ai danni del proprietario di Amazon e del Washington Post, Jeff Bezos. Un’inchiesta che potrebbe coinvolgere figure nel regno, negli Stati Uniti e nella realtà cyber dove spicca una società israeliana, la NSO. Ripartiamo dall’inizio. Il 1 maggio 2018 Bezos riceve un video dall’account WhatsApp del principe Mohammed bin Salman, l’erede al trono e figura chiave della petro-monarchia. Il messaggio segue un incontro tra i due in California, un contatto di lavoro finalizzato ad un grande progetto. Ma, secondo le indiscrezioni, quel file ha rappresentato il grimaldello con il quale hanno scardinato il cellulare dell’imprenditore statunitense. Con quali obiettivi? Primo. I sauditi avrebbero cercato di sorvegliare e contrastare Bezos nell’ambito dell’operazione che ha poi portato alla brutale eliminazione di Jamal Khashoggi in Turchia, il giornalista diventato collaboratore del Washington Post e piuttosto critico verso Riad. Secondo. Le spie hanno raccolto dati sulla vita privata del bersaglio – in particolare la relazione con Lauren Sanchez – e le hanno passate ad un tabloid con l’intento di metterlo in imbarazzo. Dunque un’azione sofisticata su un doppio livello che potrebbe essere stata ordinata dagli uomini di fiducia del principe, gli stessi protagonisti dell’offensiva contro gli oppositori riparati all’estero. Non sorprende che i committenti possano aver ingaggiato la compagnia israeliana, ritenuta tra le migliori e molto attiva nel Golfo, dove i governi si sono dotati di sistemi di sorveglianza piuttosto sofisticati. Un’acquisizione finalizzata a missioni particolari. Davanti alle rivelazioni e alle accuse i sauditi hanno scelto una linea scontata: smentite categoriche per tesi definite assurde. Ma il colpo è pesante e aggiunge ombre sul principe Mohammed, considerato impulsivo quanto determinato nell’inseguire i suoi target. A qualsiasi costo.
