A PRATO È INTOLLERABILE NON INTERVENIRE

A PRATO È INTOLLERABILE NON INTERVENIRE

“Non è tollerabile che a Prato possano esserci persone che lavorano dodici ore al giorno con stipendi di fame”, queste parole non sono di un pericoloso agitatore di popolo, di un rivoluzionario, di un sindacalista in cerca di proseliti ma di Giovanni Nerbini, vescovo di Prato che si è inserito nel dibattito cittadino dopo le polemiche dei giorni scorsi, in particolare dopo la manifestazione di sabato scorsoIl corteo che poi ha travalicato la norma imposta dagli organi di Polizia ha però avuto il merito di mettere al primo posto nell’agenda della città una questione di cui tutti sapevamo ma che faticavamo a far emergereLa questione dello sfruttamento del lavoro, vista la situazione attuale, deve essere al primo posto e questo deve essere patrimonio intero di tutti sia di quanti minimizzano sia di quelli che per risolvere tutto chiedono di cancellare tutto, chiedono la cacciata degli stranieriIn un tentativo di aggiungere disumanità a disumanità e non è certo questo di cui la città ha bisogno. La Chiesa di Prato sembra volersi far carico di questo “peso” che la politica sembra non esser riuscita ad affrontare con la determinazione dovuta. Vengono alla mente parole forti pronunciate in un tempo che oggi appare ormai lontano.Era il Natale del 1968 a Taranto, nella sua fabbrica dell’acciaio. Quella notte del ‘68, un grande Papa, Paolo VI di fronte a migliaia di operai di quella azienda di Stato, offre di aprirsi alla loro fiducia. Conosce bene le difficoltà del tempo, le lontananze acuite da interessi particolari o da visioni poco aperteOccorre stabilire contatto e condivisione, non serve condannare ed emarginare.Serve allungare il passo. Serve analizzare e dopo, subito dopo, agire di conseguenza. Paolo VI vuole rimuovere le diffidenze e i dubbi che sente salire dal mondo del lavoro verso la stessa Chiesa, dice rivolto a quei lavoratori : «Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi». «Noi forse non vi comprendiamo abbastanza – dice ancora Papa Montini-. Ci sembra che tra voi e noi non ci sia un linguaggio comune. Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione d’essere». Perché «la Chiesa, come una madre, vi comprende. Non dite e non pensate mai che la Chiesa sia cieca ai vostri bisogni, sorda alle vostre voci. Ancor prima che voi abbiate coscienza di voi stessi, delle vostre condizioni reali, totali e profonde, la Chiesa vi conosce, vi studia, vi interpreta, vi difende». Parla di quegli operai Paolo VI come «uomini vivi, uomini sofferenti, uomini bisognosi di dignità».Passano gli anni ed un’altro Pontefice, quello venuto da una lontana periferia del mondo, entra nei dibattito del tempo:“A volte si pensa che il lavoratore lavora bene solo perché è pagato, ma questa è grave disistima dei lavoratori, il lavoratore inizia a lavorare bene per dignità, il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori perché lavora con loro, l’imprenditore prima di tutto deve essere un lavoratore, nessun bravo imprenditore ama licenziare la sua gente, chi pensa risolvere i problemi licenziando la sua gente non è un buon imprenditore, non deve confondersi con lo speculatore”.Prato ha tutte le forze e tutte le energie per riscattarsi per una colpa forse non sua, può farlo senza nascondersi, senza vergogna anzi segnando un cammino che altre realtà potranno seguire.