REGIONALI 2020. BUONANOTTE AI SUONATORI … DI CITOFONI

“Dopo 70 anni c’è stata partita”. Matteo Salvini, il cui nome in Emilia Romagna ha circolato molto più di quello di Lucia Borgonzoni, candidata della Lega, mette le mani avanti, adesso che il candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini è dato avanti di tre punti nelle prime proiezioni. Forse ha dati più certi della sua sconfitta, forse la stanchezza per tutti i citofoni suonati invano nel suo lungo tour in Emilia Romagna lo ha costretto a più miti consigli. Sta di fatto, sempre se alla fine vincerà Bonaccini, che il candidato del centrosinistra deve principalmente a se stesso e a quanto ha costruito sul territorio la propria prevalenza, mentre la candidata della Lega, che dell’Emilia Romagna non conosce nemmeno i confini, deve la sua sconfitta al tentativo del suo boss di rendere nazionale il voto. Certo, l’invenzione, la spinta, la grande iniziativa di massa, la mobilitazione dei giovani scaturita dal movimento delle Sardine alla fine si è rivelata decisiva, soprattutto nella grande affluenza alle urne. Non a caso il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha sentito il dovere di ringraziarle. Ma quello che sembra bocciato dal voto popolare è il tentativo di rendere clownesca la politica, la mancanza di rispetto per tutto e per tutti, la derisione dell’avversario non supportata da una proposta realmente alternativa di governo. Il voto locale, che i politici di Roma lo vogliano o no, è ancora determinato da come viene amministrato il territorio: se in trenta minuti fai le analisi, paghi il ticket e attendi i risultati non hai motivo di voler cambiare il certo per l’incerto. Ma l’Emilia Romagna è innanzitutto una locomotiva economica dell’Italia, una regione ricca che può permettersi per questo motivo di offrire buoni servizi, e questo significa che il centrosinistra non può pensare che la vittoria in quella regione significhi l’estensione a tutto il Paese di una volontà popolare che è del tutto diversa su scala nazionale, dove le povertà produttive e familiari sono un dato di grande preoccupazione. Il risultato della Calabria sta lì a confermarlo, il candidato del centrosinistra Filippo Callipo ha un distacco abissale da Jole Santelli del centrodestra, una candidata solida, può piacere o meno, deputata dal 2001 e con una esperienza notevole in politica. Là il centrodestra si è presentato in una versione più classica, più Berlusconi e meno Salvini, meno esaltata e senza pretese di dettare la linea a tutto il Paese, dando un’impressione di compattezza. La candidatura di Callipo è stata in salita fin dall’inizio e ha scontato il peccato originario dei guai giudiziari del governatore uscente del centrosinistra Mario Oliverio. In questa tornata elettorale, che ha ha visto la sconfitta del grande imbonitore Salvini, si registra infine la sparizione di chi con promesse roboanti aveva conquistato in passato grandi risultati sia in Calabria che in Emilia Romagna. I 5 stelle col 4% circa in Emilia Romagna e in Calabria con l’8%, sempre dati provvisori naturalmente, soltanto alle politiche del 2018 avevano sbaragliato tutti gli avversari prendendo intorno al 40%, eleggendo 11 deputati su 19, mentre in Emilia Romagna viaggiavano sul 27,%. Una delle ascese con tonfo annesso più veloci della storia, la risibilità di una linea politica fragile e pronta a cadere al primo confronto con la vita reale. Soprattutto la mancanza di qualsiasi radicamento reale nel territorio. E questo alle amministrative i cittadini non lo perdonano a nessuno, dopo che hai promesso già una volta l’impossibile senza mantenerlo.