LA STORIA AI NOSTRI PIEDI. IL CASTAGNO DEI CENTO CAVALLI
Se si costeggia la parte orientale della Sicilia, tra il mare e l’Etna, e si abbandona la costa, all’altezza di Giarre, per iniziare la salita sul monte-monte (questo il significato di Mongibello, l’antico nome dell’Etna), tra il nero del terreno fatto di lava ed il verde delle viti e dei boschi, si incontrerà il paese di Sant’Alfio (in siciliano Sant’Arfiu a vara, o semplicemente Sant’Arfiu). Il nome deriva da uno dei tre castes agnes, Alfio Filadelfo Cirino, tre fratelli critistiani, che dovevano essere martirizzati; essi venivano condotti verso Lentini, portando una trave sulle spalle, ma proprio nel luogo in cui sorge oggi Sant’Alfio, si scatenò una violenta tempesta di vento che fece volare via la trave. Il nome del Paese era gioco forza segnato, e cadde sul primo dei tre fratelli. Il paesino fu per anni uno dei centri principali per la produzione di vini pregiati, anche i Cavalieri di Malta si servivano del rosso prodotto qui, eppure solo all’inizio del secolo scorso divenne comune autonomo. Se si superano le strade strette, che ancora caratterizzano il centro, e si continua la salita verso la sommità dell’Etna è possibile vedere uno degli spettacoli naturalistici più grandiosi d’Italia, e forse d’Europa, e se mi si permette un po’ di campanilismo direi del mondo intero. Il castagno dei cento cavalli. Questo splendido albero, che a prima vista potrebbero sembrare tre, sembra essere tra i più grandi ed i più antichi del mondo. La sua età, su cui hanno studiato vari botanici (anche la trasmissione Quark gli ha dedicato un servizio ed uno studio), sembra aggirarsi tra i tre e i quattromila anni, e nel 1780, con i suoi quasi 58 metri di circonferenza era sicuramente l’albero più grande del mondo, almeno tra quelli conosciuti. Dicevamo che vi è il dubbio che sia un solo albero, o piuttosto tre diverse piante, guardando ciò che emerge dal terreno l’impressione è che si trattino di tre piante, ma Don Giuseppe Recupero, naturalista e vulcanologo locale, nella sua storia naturale e generale dell’Etna, opera pubblicata postuma dal nipote nel 1815, dichiara di aver fatto scavare il terreno fino a ritrovare la parte del tronco unica, da cui partono poi le varie diramazioni. Questo straordinario albero fu oggetto, anche, del primo atto di tutela ambientale, mai verificatosi in Sicilia; infatti nel 1745 il Tribunale dell’ordine del real patrimonio di Sicilia tutelò, per la prima volta istituzionalmente questa pianta, ed un altro castagno vicino, noto come Castagno nave; oggi la pianta è tutelata dall’Unesco, facendo parte del patrimonio dell’umanità. Su una pianta simile non potevano non nascere varie leggende. La più famosa è quella che riguarda il suo nome. Infatti sembra che una Regina, sorpresa da un temporale durante una battuta di caccia sull’Etna, si sia rifugiata con tutto il seguito di dame e cavalieri, sotto le fronde del castagno per proteggersi dalla pioggia; e che vi trascorse tutta la notte. Il problema maggiore della leggenda è l’individuazione della protagonista. Secondo alcuni sarebbe stata la terza moglie di Federico II, Isabella d’Inghilterra. Secondo altra versione si tratterebbe di Giovanna d’Aragona. Giovanna Trastamara, principessa della corona di Aragona, fu Regina consorte del Regno di Napoli, sposata a Ferdinando I. Ma la leggenda con più seguito, anche se ciò non comporta automaticamente la sua maggiore credibilità, è che la Regina in questione fosse addirittura Giovanna D’Angiò, ovvero la Regina Giovanna I di Napoli, Regina di Napoli, Gerusalemme e Sicilia, che sorpresa dal temporale, durante una battuta di caccia, si rifugiò e passò la notte sotto il castagno, sollazzandosi tra le braccia di non meno di tre amanti. In realtà per quanto i tronchi dell’albero creino zone abbastanza appartate, immaginare cento cavalieri, ed un numero imprecisato di dame, tutti stretti sotto i rami, ed ancora una zona abbastanza appartata per gli appetiti della Regina è, obiettivamente, un po’ difficile. Certo è che la storia della vita di Giovanna potrebbe anche portare ad immaginare un fatto simile, donna forte, libera, colta, che mai si piegò agli eventi della vita. Una vera icona del femminismo, la cui vita merita qualche cenno. Figlia di Carlo di Calabria, primogenito del Re di Napoli Roberto d’Angiò il saggio, e di Maria di Valois, era nipote del Re di Francia Filippo IV. Fu sposata all’età di sei anni al cugino Andrea d’Angiò, figlio del Re Carlo Roberto d’Ungheria. Ma la loro unione non poteva portare nulla di buono, data la distanza tra i due, Andrea era infatti rozzo ed ignorante. E dunque non stupisca se, ancora adolescente, Giovanna cominciasse una relazione amorosa con un altro cugino, Luigi di Taranto, storia che per nulla dispiaceva alla madre di quest’ultimo Caterina di Valois, Imperatrice di Costantinopoli; d’altra parte Giovanna era pur sempre nipote del Re di Francia ed erede al trono di Napoli, che faceva gola a molti, tra cui un altro cugino della Regina, Carlo di Durazzo. Nel 1343 morì il Re Roberto, e poiché il padre Carlo era già morto, salì al trono Giovanna; ma non si pensi che la cosa fu così facile. Infatti Roberto il saggio aveva espresso, per testamento, la volontà che a succedergli fosse il di lei marito Andrea. Ma Giovanna, per nulla contenta della scelta del padre, chiese aiuto al Papa Clemente VI, che fece annullare il testamento del vecchio Re, e così, anche con l’appoggio della nobiltà napoletana, Giovanna assunse il ruolo di Regina, lasciando all’odiato marito il titolo di Duca di Calabria. Ma Andrea non era affatto contento della situazione creatasi, ed aveva pur sempre appoggi potenti, non ultimo il fratello, Re di Ungheria. Così i nobili napoletani decisero di risolvere in radice i problemi. Nel settembre del 1345 Andrea fu assassinato, e non si risolsero mai i dubbi, sebbene vi fu (come vedremo) una vera e propria sentenza, che Giovanna fosse la mandante dell’assassinio del marito. Chiaramente i familiari del defunto non presero l’avvenimento troppo bene, e dopo aver tentato di far destituire la Regina dal Papa, tentativo andato a vuoto, decisero di invadere il Regno di Napoli, in cui nel frattempo erano state celebrate le nozze tra Giovanna e Luigi di Taranto. Poiché Luigi, sebbene amato dalla Regina non doveva essere un genio militare, non riuscì ad evitare che il suo esercito, approntato per la difesa di Napoli, si assottigliasse per continue defezioni, cosa che si verificò anche tra la nobiltà napoletana, Giovanna decise di scappare da Napoli, e si rifugiò ad Avignone dal Papa. Luigi d’Ungheria conquistò Napoli facilmente. Ma la peste colpì la città, e Luigi decise di andarsene, lasciando due funzionari ungheresi a reggere la città. Ma nel 1348 Giovanna ed il marito riconquistarono il Regno, e nominarono Gran Siniscalco di Napoli Niccolò Acciaiuoli, che poi diventerà amante della Regina. Ma Luigi non demordeva, e tentò di scacciare nuovamente Giovanna, ma questa volta la cosa non gli riuscì; l’unico risultato che ottenne fu di far istruire un processo contro la cognata, per l’omicidio del fratello. Il processo che si svolse nella Corte papale di Avignone, e grazie, forse, alla cessione della città al Papa, Giovanna fu dichiarata innocente, e si riprese il trono di Napoli. Dopo dieci anni di pace e buon governo della città, la Regina rimase vedova per la seconda volta, stavolta per cause naturali. Di lì a poco si risposò con Giacomo IV di Maiorca, che non avendo avuto figli, abbandonò la Corte, dopo pochissimo tempo, e tentò di riconquistare il suo Regno. L’ultima battaglia che Giovanna dovette affrontare fu con Carlo di Durazzo, che sebbene già designato erede al trono, voleva accelerare i tempi. La scusa si ebbe con il celeberrimo Scisma d’Occidente. Mentre Giovanna, chissà perché, appoggiava l’antipapa di Avignone, Carlo si schierò con il Papa Urbano VI. Nel 1380 Giovanna fu dichiarata eretica e scismatica, e deposta dal trono dal Papa romano. Nello scontro tra i due Carlo ebbe la meglio, anche appoggiato da Luigi il Grande di Ungheria, che aveva evidentemente alcune vendette da prendersi su Giovanna. E sebbene Giovanna potesse contare sull’appoggio di Ottone IV di Brunswick, suo quarto marito, dopo essersi asserragliata nel maschio angioino, ed aver resistito agli attacchi di Carlo per qualche tempo, alla fine cadde e fu fatta prigioniera. Fu uccisa per ordine di Carlo, il 12 maggio del 1382, per porre fine al tentativo di Luigi d’Angiò, nel frattempo designato erede al trono da Giovanna, che cercava di prendersi Napoli. Questa la storia, in breve, di Giovanna d’Angiò; secondo voi una donna così non sarebbe stata in grado di passare una notte di tempesta sotto un albero con i suoi amanti? Bhè probabilmente si, ma la storia ci dice che lei non venne mai in Sicilia, e dunque il dubbio resta. Solo una cosa è chiara, sul perché i siciliani la vollero omaggiare facendola protagonista della leggenda. La risposta è facile, Giovanna I era molto amata in Sicilia, perché nell’agosto del 1372, trasformò la Sicilia in Regno autonomo, tramite l’accordo con Federico IV. Tanto è bastato per conquistarsi il diritto ad entrare nell’immaginazione popolare a tal punto da esser protagonista della leggenda del nostro albero. Ed in effetti sotto le fronde del castagno è facile immaginare storie di dame e cavalieri, di Regine medievali e guerre cruente; forse per la suggestione della leggenda, forse perche quei rami trasudano storia. Non sappiamo se mai qualche Regina passò davvero, non una notte, ma solo qualche momento, magari solo per riposarsi all’ombra dell’albero, sotto il castagno dei cento cavalli. Ma la cosa importa poco, lui è lì da 4000 anni, pronto ad accogliere chiunque, ricchi e poveri, re e plebei, e poi diciamoci la verità è sufficiente che una coppia di innamorati vada a godersi il fresco perché la leggenda, anche se in chiave più casta, si rinnovi; conoscete forse un amante per cui la propria donna non sia una regina?
