FUORI DAL CORO. DA RICORDARE IN VISTA DEL 25 APRILE
La posizione del governo italiano sugli eurobond, o come diavolo si chiameranno, è comprensibile. Se la Ue non deciderà di farsi carico, senza esose condizioni, dei rischi condivisi riguardo agli effetti economici e sanitari dell’evenienza pandemica che ha colpito (chi più chi meno) l’intera Europa, significa che continua a prevalere l’idea di un’unione dei mercati deprivata dalla visione politica d’assieme ipotizzata da Spinelli, Colorni e Rossi nel “Manifesto di Ventotene” fin dai tempi del loro confino sull’isola. Tuttavia, quando certi italiani si permettono di utilizzare nei confronti dei tedeschi, di tutti i tedeschi, l’argomento delle responsabilità pregresse del regime nazista, pare si dimentichino che quel regime fu anticipato dall’Italia fascista nel 1921; che nel gennaio del 1925 (quando in Parlamento discussero del brutale assassinio di Matteotti) Mussolini rivendicò la responsabilità politica, morale e storica di quanto avvenuto; che tra il 1925 e il 1926 il fascismo e la monarchia sabauda introdussero le leggi eccezionali o fascistissime con cui fu decretata la fine delle pur limitate forme di libertà politica, di stampa e di pensiero, ammesse dallo “statuto albertino”, istituendoad hoci tribunali speciali. Molto più tardi (1938) Hitler arrivava in Italia per incontrare Mussolini il quale lo accolse tra le stesse folle osannanti che l’anno successivo plaudirono al Patto d’Acciaio con cui il nostro Paese, la Germania e il Giappone finirono per condurre insieme la II guerra mondiale. Poi, giunto il patto ormai sull’orlo dell’abisso, l’8 settembre del 1943 la monarchia sabauda firmava l’armistizio con l’Alleanza promossa dagli anglo-americani e faceva portare, dai regi carabinieri, Mussolini in cattività sul Gran Sasso. Ma i nazisti accorsero per liberarlo e, subito dopo, il nostro Paese fu diviso in due con una monarchia fellona che nel frattempo era scappata al Sud e un fascismo asservito ai nazisti che si portava al Nord per dare vita alla tragica sceneggiata della repubblichetta di Salò. Fu allora (1943) che l’antifascismo militante diventò guerra di popolo con la Resistenza cui si accompagnarono importanti moti di riscatto dell’orgoglio nazionale come, il 10 settembre, la battaglia di porta San Paolo a Roma e l’altra nel porto di Piombino nonché, tra il 27 e il 30, le 4 giornate di Napoli. Dunque fu solo grazie a questi moti e a questa guerra di popolo, cui aderirono anche i militari di Cefalonia (ma non solo) tra cui molti che furono fucilati dai nazisti sul posto, che dopo l’inverno più nero, quello del 1944, il 25 aprile del 1945 fu proclamata la Liberazione avvenuta al Nord con la presenza determinante delle brigate partigiane guidate dal Cln, e al Sud con la risalita degli alleati sbarcati, tra il prima e il dopo di quel terribile inverno, all’inizio sulle coste siciliane e poi sulla costa laziale di Anzio mentre, intanto, altre truppe alleate sbarcavano in Normandia e da Est i soldati dell’Armata Rossa marciavano su Berlino. Ma (salvo i coraggiosi antifascisti della prim’ora: assassinati, torturati, imprigionati, confinati, costretti alla macchia o all’esilio) non possiamo e non dobbiamo dimenticare che in Italia il regime fascista e la monarchia sabauda, ubriacati dalla retorica dell’impero di cartapesta in Africa, erano stati concordi, in principio, sia per la II guerra mondiale sia per la vergognosa pagina delle leggi razziali. Ci sarebbero ancora molti altri eventi da raccontare e da commemorare, come i barbari eccidi perpetrati dai nazi-fascisti alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema e altrove, ma credo che se sentono queste cose i nostri figli (raccontate con spirito democratico epperò senza se e senza ma) sia sufficiente. Magari consigliando loro qualche buona lettura per approfondire la conoscenza attingendo a fonti d’informazione che adesso sono accessibili a tutti.
