LIBANO: IL DEFAULT ECONOMICO SULLO SFONDO DELLA LOTTA AL COVID-19

(AGI) – Beirut, 9 apr. – Il ministero degli Affari sociali libanese ha annunciato il lancio di un programma di aiuti economici da circa 26 milioni di dollari per le fasce più deboli della popolazione, colpite da una crisi economica epocale e dalla concomitanza di un lockdown forzato per via della diffusione del Covid-19. Nelle sue fasi iniziali il programma ai aiuti prevede un trasferimento di circa 140 dollari a circa 187.500 nuclei familiari, come ha fatto sapere su Al Jazeera Jad Haidar, consigliere del ministro degli Affati sociali Ramzi Moucharafieh. Del programma dovrebbero beneficiare circa un milione di libanesi, assumendo la dimensione media di un nucleo familiare composto da cinque persone. Lo stesso Moucharafieh ha fatto sapere che gli aiuti verranno distribuiti direttamente dall’Esercito libanese: si tratta di un aspetto rilevante, poiché le Forze armate godono del rispetto della società civile, essendo percepiti come estranei alla corruzione che coinvolge i partiti confessionali, i quali hanno alle spalle una lunga storia di rapporti clientelari con il loro elettorato. Secondo i dati del ministero delle Finanze, circa il 45% dei libanesi vive sotto la soglia di povertà relativa, ed oltre il 20% sotto quella di povertà assoluta. Il Paese è tecnicamente in default – lo scorso 9 marzo non è riuscita a ripagare eurobond da 1.2 miliardi – e secondo fonti governative è allo studio un piano per richiedere circa 10-15 miliardi di dollari in aiuti dalle istituzioni internazionali, che dovrebbe accompagnare un processo di svalutazione della lira libanese, con l’obiettivo di raddoppiare il cambio col dollaro, portandolo a 3000 lire libanesi entro il 2024 (era 1500 fino a due mesi fa). L’inflazione quest’anno promette di passare dal 2,9% del 2019 al 27%, una proiezione che può anche peggiorare se la pandemia – ed il relativo lockdown – dovesse protrarsi. “Se il governo non interviene, più di mezzo milione di libanesi potrebbero non riuscire ad acquistare beni di prima necessità”, aveva avvertito nei giorni scorsi Lena Simet, ricercatrice di Human Rights Watch. Nonostante queste criticità, la gestione del Covid-19 sta procedendo in modo sorprendente, specie se si tiene conto delle poche risorse. Secondo i dati della piattaforma elaborata dalla Johns Hopkins University, i casi di coronavirus in Libano sono ancora al di sotto dei 600 – nella giornata di oggi se ne sono aggiunti sette -, con 19 persone decedute. I dati del ministero della Sanità sono abbastanza incoraggianti: i contagi giornalieri sono in calo e la pressione sugli ospedali è contenuta. Il Libano sembra riuscire ad appiattire la curva dei contagi. Come ha commentato il direttore del Rafik Hariri Hospital Firass Abiad, il paese punta a raggiungere la capacità di effettuare circa 2500 tamponi al giorno, con particolare attenzione alle aree rurali e ai campi profughi, dove vive quasi un terzo della popolazione locale, e dove l’altissima densità abitativa renderebbe incontrollabile la diffusione del virus. L’analista Jad Chaaban osserva che i casi di coronavirus in Libano (circa 580) sono quasi certamente sottostimati – probabilmente sono cinque o dieci volte tanti – ma anche assumendo un numero dieci volte più alto, la pressione ancora contenuta sui reparti di terapia intensiva del Paese sarebbe un indicatore del fatto che la situazione è ancora sotto controllo. Per ora, gli ospedali sembrano quindi poter contenere la pandemia. Le ragioni principali per cui in Libano ci sono meno casi che altrove nella regione – nella vicina Israele i casi ufficiali sono quasi 10.000 – risiedono nella sua struttura demografica ed economica: la bassa connettività, la quasi inesistenza di un servizio di trasporto pubblico e paradossalmente il settarismo – la vera cifra del sistema politico libanese -, che implica la tendenza delle diverse comunità ad avere poche interazioni. A questo si è aggiunto un calo drastico del turismo, dovuto all’instabilità politica degli ultimi mesi, con proteste anti-governative iniziate lo scorso ottobre e interrotte solo dal lockdown forzato. E proprio i tempi del lockdown sembrano esser stati particolarmente azzeccati: il Libano ha disposto misure restrittive del tutto simili a quelle italiane già dal 15 marzo, quando i casi di contagio ufficiali erano meno di 100. Sono state chiuse scuole, università, buona parte degli uffici pubblici, molte altre attività hanno orario ridotto e sono stati stabiliti orari di coprifuoco. Le strade delle principali città tendono a rimanere deserte. Infine, la sottovalutata qualità di un settore pubblico contenuto – su 130 ospedali nel Paese 105 sono privati – ma efficiente, oltre ad esempi di collaborazione pubblico-privato. Negli ultimi giorni è emerso un nuovo focolaio nella cittadina settentrionale di Bsharre, dove sono stati registrati più di 50 casi. Il governo nn esclude la possibilità di isolarla per un certo periodo se la situazione dovesse sfuggire di mano nelle prossime ore. Nelle prossime ore il governo dovrebbe annunciare anche una nuova estensione del lockdown generale, con il prolungamento della chiusura dell’aeroporto di Beirut fino al 26 aprile, anche se proprio durante la scorsa settimana 12 casi sono stati registrati tra i libanesi tornati in Libano da diverse città europee (Madrid e Parigi in particolare, mentre sabato prossimo è previsto l’arrivo di un altro volo dall’Italia) a bordo di voli speciali organizzati dal governo e dalla compagnia di bandiera Middle eastern Airlines. I contagiati sono stati tutti sottoposti a quarantena a domicilio o in strutture adibite. (AGI) LBY