GLI SGUARDI DI MEDICI, INFERMIERI E OOS

GLI SGUARDI DI MEDICI, INFERMIERI E OOS

E’ sempre un esercizio utile, cambiare prospettiva. In questi giorni tanto abbiamo scritto con gli occhi dei parenti degli anziani ricoverati nelle Rsa. Qui c’éinvece, speculare, lo sguardo di medici, infermieri e oos. Tra senso di impotenza e percezione di totale abbandono da parte delle istituzioni. Immane sforzo anche per loro.****«Da due mesi stiamo facendo tutto quello che è umanamente possibile per difendere i nostri anziani. Nelle Rsa gli ospiti sono lungodegenti, il lavoro ha una matrice affettiva che negli ospedali non esiste. Li conosciamo tutti per nome, con ciascuno abbiamo consolidato gesti di appoggio e di affetto. Sappiamo quali sono le abilità da valorizzare, le parole che li tranquillizzano». Hanno messo in secondo piano le vite personali, spesso con uno schiacciante senso di colpa. «Io, per dire, non vedo mia figlia da più di un mese. Ma questo non si chiama spirito di sacrificio. Si chiama spirito di servizio». Prendersi cura di qualcuno che da solo non ce la fa: il senso del mestiere non è venuto meno neanche un istante, spiega Guido Tosi, responsabile sanitario degli Anni Azzurri, sede Navigli. «Chi non ha preso per tempo ogni precauzione non ha scuse – ragiona Antonio Sorce, tre figli, coordinatore degli infermieri alle Residenze del sole di Cinisello -. Da noi gli argini hanno funzionato perché i vertici hanno marciato nella stessa direzione di chi lavorava in corsia e aveva diretta percezione del pericolo». Altrove l’alleanza tra dirigenti e sanitari si è rotta ma certo lo sforzo profuso ovunque è stato inimmaginabile. La geriatra Irene Pellicioli e alcuni colleghi della Fondazione Castellini di Melegnano lanciano un j’accuse: «Ci sentiamo feriti dal martellamento mediatico sulle Rsa, dipinte come luoghi dove gli anziani vengono lasciati morire soli e senza cure. Nulla è più lontano dalla realtà – sottolineano -. Dove erano invece le istituzioni quando i nostri impiegati dell’ufficio acquisti spasmodicamente cercavano di procurare per noi mascherine e dispositivi di protezione introvabili o dirottati verso gli ospedali? Dov’erano quando chiedevamo tamponi che non ci venivano dati?». Salvatore Casto è coordinatore delle professioni sanitarie alla Fondazione Agostoni di Lissone, una delle pochissime senza neanche un caso di Covid: «Già il 22 febbraio abbiamo chiuso la struttura, sigillata senza se e senza ma, nonostante le proteste dei parenti – è netto -. Isolavamo persino gli ospiti che venivano portati in ospedale per le visite, abbiamo ottenuto e tamponi per tutti mettendoci d’accordo direttamente con l’ospedale». Combatte Antonella Corsini, infermiera del Frisia di Merate, gruppo Pio Albergo Trivulzio («Facciamo turni doppi, ne usciremo»), e si toglie sfinita la mascherina la Oos Janet Quezazda dell’Istituto geriatrico di via Arsia. «Bisogna convergere verso un obiettivo, mantenere il patto di fiducia con le famiglie e le persone prese in carico – riassume Elisabetta Banco, esperta di neuropsicologia alla nuova sezione riabilitativa per pazienti Covid dell’Auxologico di via Mercalli -. Facciamo capire loro che questo non è tempo perso. Possono migliorare nonostante il Covid. Il virus non deve toglierci la vita».