L’ADDIO DI UN NONNO MORTO IN UNA RSA: UCCIDE PIÙ L’INDIFFERENZA DEL CORONAVIRUS
Impossibile restare indifferenti dinanzi a questa che più che una lettera sembra un atto di accusa.A scriverla un uomo di 85, ‘ospite’ in una delle tante Rsa, qualche giorno prima che il coronavirus avesse la meglio su di lui. ‘Prigione dorata’,così chiama la struttura nella quale ha vissuto gli ultimi anni sentendosi solo un numero. Prigione nella quale ha chiesto lui, ai suoi familiari, di essere portato per non essere di peso a nessuno.Scelta della quale si è poi pentito amaramente.Dopo essere diventato un numero, nient’altro che un numero, rimarca più volte, lui, che in passato è stato uno stimato avvocato. Scrive ai suoi familiari, ai suoi cari figli e nipoti.Non ha bisogno di niente,sottolinea,se non di una loro carezza, di un abbraccio o di una voce che gli chieda ‘come stai oggi, nonno’? A mancargli è stato soprattutto l’odore di casa sua, il profumo della biancheria fresca di bucato, i discorsi attorno alla tavola imbandita, persino le discussioni che inevitabilmente si accendevano dinanzi a opinioni divergenti. A mancargli, insomma, la sua famiglia,‘non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere’. Nella mia vita, scrive nella lettera,non ho voluto mai essere di peso a nessuno.Figurarsi‘quando ho visto di non essere più autonomo, incapace di svolgere qualunque funzione. Ma ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. E se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito. Questo coronavirus ci porterà al patibolo, ma io già mi ci sentivo, l’altro giorno l’infermiera mi ha preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo è stata già uccisa’. Quanto dolore in queste parole.Quanta umiliazione nello scoprirsi a desiderare una carezza, una parola gentile o un semplice sorriso. Solo per sentirsi ancora un essere umano e non numero di una struttura che per quanto dorata sempre prigione è. ‘Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa’,tutti dovrebbero poter morire nel proprio letto, circondati dal calore dei propri familiari. ‘Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando, lo stesso succedeva per il cambio’, denuncia l’uomo. Concludendo chead uccidere più del coronavirus è l’assenza totale di rispetto per l’altro, l’indifferenza, l’incoscienza più totale. Leggo queste parole e penso a mio padre. E’ morto nel suo letto.Assistito fino all’inverosimile da mia madre. Era allettato da qualche mese ma ci teneva al suo aspetto. Voleva farsi trovare sempre rasato e fresco di dopobarba. Era un modo per sentirsi ancora vivo nonostante la morte da tempo aleggiasse attorno a quelle pareti. Mia madre no. E’ morta nella Rsaall’interno dello stesso Comune di residenza. Era rifiorita là dentro. Era curata amorevolmente dalle assistenti geriatriche e da tutto il personale. La cucina era buona e adeguata alle esigenze e ai gusti. Noi figli non abbiamo mancato mai a nessun appuntamento quotidiano. L’abbiamo circondata di calore sino all’ultimo.Non ci sono alternative, ci siamo detti, quando le nostre braccia e le nostre cure si sono fatte insufficienti e la degenza alla Rsa è stata una scelta obbligata. E’ stata bene, continuiamo a ripeterci.Nulla a che vedere con gli orrori che sentiamo e vediamo in tv in queste settimane. E’ stata ‘come’ in famiglia.Eppure in fondo al cuore a volte sento una stretta
