LA SINDROME DELL’UNTORE FASE 2 CI CONSEGNA UN NUOVO NEMICO: QUELLI DEL NO A ‘IMMUNI’
Dopo ristoratori cinesi e cinesi semplici, codognesi, meridionali di ritorno, accaparratori da supermercato, fumatori, cinofili, frequentatori di chiese, tifosi di calcio, runner e passeggiatori incalliti, fanatici della tintarella e cultori della Pasquetta*, la sindrome dell’untore (SDU-20, la seconda pandemia dell’anno) ci consegna un nuovo nemico: quelli che non vogliono scaricare “Immuni”, o che comunque ne discutono i limiti.Certo, è senz’altro vero che viviamo circondati di applicazioni costruite per carpire i nostri dati, compresa questa tramite cui scrivo roba e mostro cibo. Ed è vero anche che buona parte degli italiani ha una capacità pressoché nulla di tutelare i propri dati: chi non ha mai cliccato “accetta” di fretta, quasi infastidito, su una richiesta di consenso? Ma è anche vero che qui si parla di una raccolta di dati che arrivano direttamente a chi gestisce anche ordine pubblico e forze di polizia. Parliamo di una app di Stato, che inizialmente è stata lanciata come veicolo NECESSARIO per l’esercizio di diritti costituzionali (artt. 4, 13, 16 e 17). Ora, la differenza con Candy Crush salta abbastanza all’occhio, non trovate? Ossia: se non giocate a Candy Crush, magari dovete trovare un altro modo di ammazzare il tempo in metropolitana, ma sicuramente nessuno vi vieterà di uscire di casa, o di riunirvi («pacificamente e senz’armi») per i motivi che più vi aggradano.Aggiungo: una struttura, quasi sempre, sopravvive all’emergenza che l’aveva motivata. Pensiamo all’Iri, o pensiamo alle – tante – restrizioni alla libertà personale introdotte dalle norme antiterrorismo in diversi Paesi. Dunque, per rendere “potabile” la app, un buon punto di partenza potrebbe essere la distruzione del database nel momento stesso in cui cessi la pandemia. E magari anche un’aggiunta tipo “i dati raccolti tramite tracciamento non potranno essere usati in nessun caso in un tribunale contro un cittadino”. Viviamo nell’era dei big data, e proprio lo scandalo Cambridge Analytica – citato da tanti app-entusiasti – dovrebbe farci riflettere sull’importanza dei dati che con tanta leggerezza chiediamo di mettere in mano a chi gestisce anche l’apparato repressivo. Non tanto e non solo per ciò che potrebbero farne adesso, quanto per ciò che un giorno, qualcuno, potrebbe farne. Non credo che Conte verrebbe a prenderci casa per casa, ma ci sono stati momenti nella storia italiana in cui un simile strumento sarebbe stato entusiasticamente utilizzato, non necessariamente da esplicite dittature.La distinzione tra un consenso (magari troppo leggero: sarebbe il momento per parlare di educazione informatica) concesso per usufruire di un servizio commerciale e uno per esercitare un proprio diritto costituzionale è intuitiva, oltre che enorme. È necessario per l’emergenza? Benissimo, parliamone, ma costituzionalizziamo il tutto.E lo dice uno che per formazione e priorità è tutt’altro che un liberale.Nella foto, degli spaghetti con asparagi selvatici, guanciale e fonduta di pecorino che mi servivano a carpire la vostra attenzione. Eroica, se siete arrivati a questo punto* tra i sintomi del COVID-19 c’è la perdita del gusto e dell’olfatto; buona parte dei contagiati dalla SDU-20, invece, perde la capacità di stilare graduatorie di responsabilità, accanendosi contro un vicino che butta la spazzatura e lasciando serene le decine di migliaia di aziende rimaste aperte con una semplice autocertificazione. Se dovessi puntare un euro sulla persistenza del contagio, tuttavia, non lo punterei sul solitario bagnante di Rimini quanto sulle fabbriche; tipo l’Ilva di Taranto, dove – tra le migliaia di problemi di salubrità degli impianti – un operaio è stato licenziato per aver detto che si lavorava senza protezioni. Ma sicuramente subito dopo arriva il ragioniere Cometti, residente in via Santamaura, che è andato tre volte a comprare il sugo.
