VERSO LA FASE DUE. ALLA RICERCA DI UN NUOVO APPROCCIO TRA ACCELERAZIONI E BATTUTE D’ARRESTO

VERSO LA FASE DUE. ALLA RICERCA DI UN NUOVO APPROCCIO TRA ACCELERAZIONI E BATTUTE D’ARRESTO

“Siamo tornati alla preistoria, dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere”. Sono passati solo sette giorni da quando il fisico Roberto Cingolano, membro della task force guidata da Vittorio Colao, rilasciava la sua intervista a la Repubblica, sottolineando come il Coronavirus sia una grande occasione per riparametrarsi, “se non ci fosse stato questo scossone avremmo continuato questa corsa un po’ insensata dentro un certo modello economico, invece siamo chiamati a cambiare. E se sprecheremo questa opportunità, sarà un grande errore storico”. Sono passati sette giorni, eppure, con la fase ormai avviata, sembra già di parlare di un tempo remoto. Quel tempo in cui l’Italia si affacciava dai balconi, organizzava flashmob a distanza, vedeva la tragedia del Covid-19 come un modo per riflettere, per guardarsi un po’ dentro. Una necessità di riscoprire una dimensione privata, laddove ormai ci si stava abbandonando solo a quella sociale, vero e proprio rifugio dai danni, dai vuoti affettivi, dall’impoverimento interiore che l’uomo moderno, lasciata la dimensione di comunità per riscoprire un individualismo tutto metropolitano, si portava dietro da ormai troppo tempo. Un virus da cui bisognava stare attenti a non essere contagiati, poiché alla paura di contrarre la malattia, si aggiungeva quella di infettare gli altri. E allora, forse per la prima volta da un secolo a questa parte, pensare a se stessi diventava un modo per pensare anche al prossimo: un modello che sfugge alle logiche di un sistema come quello su cui è fondata la nostra civiltà, secondo cui dare a qualcuno equivale a togliere a qualcun altro; un vantaggio individuale comporta inevitabilmente un torto alla comunità. La Pandemia è stata il primo vero schiaffo al capitalismo imperante, al consumismo, al neo-liberismo. Ha scoperchiato il vaso di Pandora, portando finalmente a galla le falle che si portava dietro, e imponendo, quindi, un nuovo approccio. Ma qualcosa è cambiato, negli ultimi sette giorni. Questo lento incedere verso un atteso nuovo Rinascimento sembra aver ricevuto una battuta d’arresto. Voci che fino a qualche settimana fa si manifestavano come fastidiosi rumors di sottofondo, destinati, come un’eco, ad affievolirsi fino a farsi silenzio, sono man mano divenute sempre più forti, fino a trasformarsi in veri e propri slogan urlati dagli scranni delle aule istituzionali, per poi, una volta spalancate le porte, fondersi con il lamento dei cittadini esasperati da un lockdown che sembrava senza fine. Baristi, commercianti, artigiani, piccoli imprenditori. Ma anche negozianti, parrucchieri, centri estetici. Occorre riaprire, occorre tornare alla normalità. Occorre che la ruota riprenda a girare, occorre riprendere da dove eravamo rimasti. Certo, il prosieguo della quarantena era impensabile, ma per evitare di cancellare tutto quello che è stato, anche in un’ottica di lenta riapertura, quello che non bisogna abbandonare è il nuovo approccio alla realtà che questa tragica esperienza ci aveva inevitabilmente imposto. Pensare a se stessi come gesto di attenzione verso gli altri era cosa a cui non eravamo abituati. Pazientare per ore in attesa del nostro turno davanti a un supermercato era una novità, per la generazione del “tutto-e-subito-in-un-click”. Un’onnipotenza – intesa proprio come credenza di poter avere tutto – messa finalmente in crisi, a cui si aggiunge la necessità di una maggior attenzione all’ambiente, soprattutto dopo aver riscontrato l’incidenza dell’inquinamento sulla diffusione dell’epidemia. “Alla fine alcune cose resteranno e altre casomai no – prosegue Cingolani – perché si potrà tornare alle attività di prima, ma con una svolta antropologica indispensabile, cioè aver imparato che tutti noi abbiamo una responsabilità sociale che è quella che in queste settimane ci ha portato a stare chiusi in casa per non contagiarci l’uno con l’altro, ma che dovrebbe essere il nostro fondamento del vivere sempre insieme e non solo in emergenza”. Basterà davvero uno scossone come quello provocato da questa esperienza a farci cambiare paradigma? Osservando gli opinion leader, sembrerebbe che la volontà non sia esattamente questa, e dietro la fretta di riaprire e di tornare alla normalità sembra celarsi quel già noto tentativo di fare come se nulla sia stato. E allora, dov’è la resistenza, dov’è la ribellione? Forse nella ricerca proprio di quei danni, quei vuoti affettivi che ci avevano trasformati in mere macchine produttive. Forse, nel cercar di salvare quella sfera emotiva che può tranquillamente esistere anche all’interno di un sistema produttivo, senza per questo metterlo in crisi. Forse, nel cominciare a vedere il proprio lavoro come possibilità di realizzazione di identità, e non più come mezzo di fuga da altre dimensioni in cui ci sentiamo carenti.