CRONACHE DAL FRONTE (PUNTATA N.54)

Ora che ci penso, in fatto di distanziamento sociale – se non altro con l’altro sesso – ho una ricca esperienza pregressa, che dovrebbe valermi un’onorificenza oppure un patentino. In molti dei Paesi che frequento, soprattutto nelle aree più rurali, più legate alla tradizione, non è consentito infatti avvicinarsi alle donne: baciarle sulle guance per un saluto o stringer loro la mano, men che meno abbracciarle. Ed è buona educazione non poggiar lo sguardo su di loro, quando ne vedi una che non sia di sfuggita, per strada, a debita distanza. Mi è capitato spesso di essere invitato a cena, da conoscenti e autorità locali che in tal modo intendevano onorarmi, oppure da amici, che conoscevo da lunga data e con cui avevo un rapporto confidenziale. Ebbene, non ho mai visto le donne di casa loro – mogli, sorelle, figlie – che se ne restavano tutto il tempo chiuse in cucina a preparare il pasto, lasciando agli uomini o ai bambini il compito di trasportare i vassoi fumanti nella sala da pranzo così come le bevande. Né le vedevo alla fine del pasto, quando educatamente, dopo essermi leccato le dita per le tante leccornie che ti erano state offerte, chiedevo di poter fare i complimenti alla cuoca. Niente da fare. Al massimo, se ero a casa di un amico da lunga data, la donna arrivava fino alla soglia della stanza, ringraziava e tornava nelle sue stanze. La situazione più buffa, sempre secondo i canoni occidentali, l’ho vissuta ad Aleppo nell’autunno del 2012. Eravamo in tre, ospiti di un ragazzo dei Comitati Locali che avevano guidato la ribellione contro il regime sanguinario di Bachar al Assad e si ritrovavano da qualche mese a subirne i bombardamenti a tappeto, con le micidiali barrel bombs. Il nostro amico ci aveva messo a disposizione casa sua, trasferendo altrove la sua numerosa famiglia. E noi per ringraziarlo, alla fine del nostro soggiorno, decidemmo di preparare una bella spaghettata per tutti. Mai un’idea fu così improvvida. Il nostro amico, per farci vedere che apprezzava il gesto, richiamò a casa per l’occasione le sue donne: una lunga scia di abaya nere – l’abito tradizionale, che prevede il volto coperto dal niqab – con uno stuolo di bambini al seguito, che vedemmo sfilare in giardino e che entrarono in casa in silenzio a dir poco solenne, per poi chiudersi in una stanza da letto. In un’altra stanza, il salotto, si piazzarono invece gli uomini di casa, una decina, stravaccati sui tappeti a giocare coi telefonini ed i computer. A me e ai miei due amici era stata invece lasciata la cucina, ovviamente. Ma per far da mangiare non sapevamo da che parte iniziare. Ci serviva tutto – pentole, mestoli, spezie – ma nonostante le cercassimo non riuscivamo a trovare niente di niente. Anche perché, per via dei bombardamenti, non c’era elettricità. E sfido chiunque a muoversi al buio in una cucina grande e che non è la sua. E’ iniziato così uno strano balletto. C’’eravamo noi tre, torce in mano, che comunicavamo le nostre richieste ai bambini più grandi – “ci serve una pentola grande”, “ci serve l’aglio” e così via – e loro andavano nella stanza delle donne a riferirle, per poi tornare da noi con la buona novella. Non vi dico quanti equivoci, dietro-front e rettifiche ci sono stati. Posso dirvi però che per scodellare i nostri spaghetti al sugo ci sono volute due ore buone. E la beffa è stata che non li ha mangiati nessuno – almeno fra gli uomini, delle donne non si sa – e tutti, dopo un assaggio di cortesie, hanno preferito ripiegare sul cibo locale, divertendosi però a guardare noi tre intenti ad arrotolare con la forchetta questo strano cibo. Per questo, quando sento le raccomandazioni che danno in questi giorni le nostre autorità, mi viene ogni tanto da ridere. Tutta questa storia sulle visite da limitare ai “congiunti” e agli “affetti stabili”, tutti questi inviti a coprirsi il volto adeguatamente e a mantenere le distanze, mi sembrano un déjà vu a cui per alcuni versi sono abituato. Spero solo che non intacchino il mio desiderio, le mie libere pulsioni. In Afganistan una volta mi innamorai perdutamente di una donna in burqa che ovviamente non ho ha mai visto ma che portata delle bellissime scarpe di vernice rossa col tacco. La mattina andavo al suq, al mercato, solo per vederla. Chissà che adesso non mi innamori di qualche mascherina. Ho visto che ce ne sono di bellissimeP.S. In foto una mascherina artistica