MORTE TUA MORTE MIA

MORTE TUA MORTE MIA

Medici e Pompieri mettono le mani nelle viscere e nel fuoco per salvare vite. Quando lo fanno non si chiedono nemmeno per un attimo chi stanno salvando e mettono a rischio le loro stesse vite per salvarne altre. Non a caso sono due categorie per cui tutti hanno rispetto, perché ci ricordano un concetto primario dell’esistenza, il bene collettivo che consiste nel restare in vita dei singoli. Il concetto che si sta invece facendo strada sempre più velocemente nella nostra società è di voler stabilire chi ha diritto a essere salvato, ergendoci a giudici noi stessi singolarmente. Almeno una volta davamo mandato a tribunali che stabilivano la pena di morte, adesso ne trovi diversi pronti a farsi giustizia già sul posto o in televisione da Giletti o lasciando affogare i migranti. Se c’è un’ingiustizia che emerge nella vicenda di Silvia Romano la possono lamentare soltanto i familiari delle persone per cui non si è trattato, la famiglia di Aldo Moro, quella di Davide Cervia, di Enzo Baldoni e di un lungo elenco di altri cittadini italiani che lo stato ha abbandonato colpevolmente al loro destino senza muovere un dito per salvarli. Ma queste famiglie non ritengono certo che siccome non si è trattato per i loro cari non si sarebbe dovuto trattare per Silvia Romano. Sottolineano l’ingiustizia, la disparità, la differenza di trattamento subita, ma capiscono meglio di tutti l’angoscia vissuta dai familiari della ragazza rapita in Kenya, lo sconforto, il senso di perdita anticipato, gli alti e i bassi di giornate con un pensiero fisso in mente, un incubo che nessuno dovrebbe e vorrebbe vivere. Ma gli altri cosa hanno da rimproverare a chi è rimasto vivo? Gli rimproverano di essere diverso da loro in base a un’assioma non dimostrato, cioè che loro in una situazione di pericolo estremo si sarebbero comportati “diversamente”. Diversamente come? Opponendo il vangelo al corano come ai bei tempi delle crociate? Che infatti di morti ne hanno prodotti milioni. Contrapponendo i blue jeans al burqa in una sfilata di moda nel deserto? Non sanno forse per non aver viaggiato che in una borsa firmata entrano assai meno generi di sopravvivenza che in uno zaino. Pretesti, infamie, trucchi già usati quando si trattò della figura di Aldo Moro, ucciso prima che dai suoi carcerieri dalla distruzione sistematica della sua immagine quando era ancora in vita, facendolo passare per pazzo, salvo poi santificarlo dopo. Il popolo è bue, lo sapevamo, e i vaccari col lazo tengono a bada la folla urlante ritenendo che non arrivi il giorno in cui finiranno loro stessi impiccati a quel lazo. L’odio che spargono è talmente tanto che a breve non farà differenze tra nessuno. A questo porta coltivare la cultura di morte che si annida dietro le oscenità con cui è stato accolto il ritorno da viva di Silvia Romano. Poi il governo ci dovrà spiegare naturalmente se abbiamo dato armi in cambio ai servizi segreti turchi per la loro intercessione nell’affare. Quanto è stato pagato, da dove vengono quei soldi.Siamo i cittadini che hanno eletto un parlamento che ha votato quel governo e devono rispondere delle loro azioni. Ma Silvia Romano è viva e potrà liberamente decidere cosa fare della sua vita dopo aver rischiato di non poterlo mai più fare. Resta da vedere se chi la odia sta scegliendo cosa fare della propria vita o vuole impedire in futuro a medici e pompieri di salvare senza esitazioni vite umane pretendendo che prima esibiscano la fedina penale o la reputazione web di chi sta bruciando in una casa.