LA COMPETIZIONE IN REDAZIONE: RIFLESSIONI SPARSE E UMORALI

LA COMPETIZIONE IN REDAZIONE: RIFLESSIONI SPARSE E UMORALIDOPO LE IRONIE (SACROSANTE) SUL “PREMIO DEL DIRETTORE” Naturalmente ieri abbiamo tutti sfotticchiatoun po’, a partire dal sottoscritto, l’erigendo “premio del direttore” (600 euro lorde a settimana) istituito da Maurizio Molinari a “la Repubblica” e reso pubblico. La tradizione, ereditata da “La Stampa”, benché risulti che pure a “la Repubblica” vigesse in passato un incentivo del genere, viene da lontano, da una certa idea “meritocratica”, con o senza virgolette, secondo la quale va premiata la competizione redazionale, quindi l’iniziativa del singolo, tesa a rendere migliore, più frizzante, più originale, il prodotto giornalistico. S’intende che fa un po’ sorridere il linguaggio scelto da Molinari, l’uomo-Fiat, perché evoca subito immagini fantozziane, con il Mega-Direttore Galattico dalla voce tonante che dispensa prebende e i sudditi inginocchiati lesti a farsi tappetini pur di agguantare il premio di produzione. Ok, ci sta l’ironia.E però il problema, se tale vogliamo chiamarlo, esiste. Attualmente sono in pensione, grazie a Dio e all’Inpgi, e quindi non debbo gareggiare con nessuno, se non con me stesso, sperando di conservare la salute. Ma bazzico i quotidiani da circa 44 anni e so bene, per esperienza personale incisa dolorosamente sulla mia pelle, quanto il darsi da fare, anche solo per procurare al giornale notizie, scoop, retroscena, interviste esclusive eccetera, possa essere visto con insofferenza dai colleghi più pigri, diciamo intonati a una logica impiegatizia della professione (sapete: quelli che prendono sempre la “corta” al sabato).Ho patito questa situazione psicologica in alcuni dei miei 24 anni passati a “l’Unità”; ma soprattutto dopo, quando, lasciato lo stipendio sicuro da “articolo 1” per fare il free-lance, cominciai a scrivere su quotidiani diversi, più legati al cosiddetto mercato.Non sono in vena di lagne e risentimenti. La mia vita professionale è andata come doveva andare (poi, certo, ci sono stati direttori illustri che non hanno mantenuto la parola data anche per iscritto). Ma lavorare duro, con determinazione, anche con una certa dose di spregiudicatezza, mi piaceva. E mi piaceva, non potendo contare sulla forza contrattuale tipica dei “giornaloni” ai quali il pranzo è servito, procurarmi fonti attendibili in grado di farmi arrivare prima degli altri colleghi.Il giornalismo è soprattutto tempismo, specie nel ramo minore da me perlopiù frequentato, che è quello del cinema tra politica, spettacolo e costume. Ricordo le frecciate di alcuni colleghe e colleghi a “l’Unità”, la scarsa reattività di alcuni capi, il fastidio di certi uffici stampa di fronte a quelle che venivano definite, per deprezzarle o svilirle, delle “anselmate”, anche i muri eretti altrove per impedirmi di approdare in testate più qualificate. Capita, lo so.Non di meno la competizione tra giornalisti è sana, normale, attiene alla natura umana nei luoghi di lavoro, sempre che non sia finalizzata a creare zizzania in redazione, a regolare dei conti, a promuovere gli ascari. D’altro canto so bene come la sospirata assunzione a tempo indeterminato, quindi con tutte le garanzie contributive, assicurative e salariali, possa indurre talvolta il giornalista a sentirsi un po’ un “travet” da timbro il cartellino e chi se ne frega del resto. Adesso meno di un tempo, in verità, perché c’è da macinare notizie e servizi anche per le pagine digitali, più contributi video o radiofonici. Tuttavia è il collaboratore esterno, sempre meno pagato e più sfruttato, a meno che non sia firma blasonata, a doversi sobbarcare la fatica e lo stress di inventarsi ogni giorno qualcosa di frizzante da sottoporre ai lontani capi in redazione, spesso distratti, nella speranza di ricevere il disco verde, volentieri concesso come fosse un privilegio raro.Un giornalismo impari, sul piano delle condizioni di vita e di lavoro, con tutto ciò che ne consegue: pensionati che non mollano mai nulla per paura di perdere spazi e competenze; giovani e meno giovani che augurano il coccolone a chi non si fa mai da parte, nemmeno un po’. Mi chiedo: che competizione sarà mai questa? Era quanto volevo dire, “premio del direttore” a parte. Mi auguro di non essere equivocato.