LA MODA A BASSO COSTO FA MALE ALLA SALUTE

Chiunque almeno una volta nella vita ha sentito parlare di “fast-fashion”, un fenomeno così veloce da provocare danni alla salute. Forse alcuni di voi non ne conoscono il nome, ma sicuramente tutti lo avete provato. Quando compriamo una maglietta online per poche decine di euro, spesso simile in apparenza a quelle che vediamo nelle passerelle, pensiamo di aver fatto un gran “affare”. In realtà, stiamo incentivando lo sfruttamento dei lavoratori coinvolti, e delle fabbriche così inquinanti da danneggiare irrimediabilmente il nostro pianeta. Inoltre, il prezzo da pagare in salute per chi li indossa è ben superiore rispetto a quello che leggiamo sul cartellino. Avere un guardaroba all’ultima moda a poco prezzo attira tutti noi, specie in una società che sta attraversando momenti di crisi significativi. Ma ciò che non curiamo è il grosso danno che ci sta dietro, e forse sarebbe meglio acquistare un maglione in meno ma che rispetti l’ambiente e anche noi stessi. La richiesta che in continuazione arriva ai grandi colossi della fast-fashion può portare a produrre fino ad una cinquantina di collezioni l’anno. Con una materia prima di scarsissima qualità e manodopera pagata una miseria, si ottiene la ricetta ideale per immettere sul mercato prodotti a basso prezzo. Si tratta di giganti della moda che vendono soprattutto online abiti “usa e getta”, destinati ad essere accantonati dopo il secondo lavaggio. Questo perché, essendoci un riciclo continuo di nuovi capi da dover produrre, parliamo di fabbriche che non si fermano mai. Inoltre, prendendo indubbiamente spunto dai capi di alta moda che escono durante le sfilate ufficiali, manca il processo creativo e “di stallo” dal punto di vista produttivo che ritroviamo invece nei piccoli brand o in quelli di lusso. Attenzione, però, perché oggi il mondo del fast-fashion vince la medaglia d’argento dei grandi inquinatori globali. Erroneamente si tende a generalizzare affibbiando all’intero mondo della moda la colpa di queste emissioni spropositate, ma sono riservate a questo modello di business. Si può riassumere che il fast-fashion sia il secondo maggior consumatore di acqua al mondo (con una media di 1,5 trilioni di litri l’anno), e sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento idrico industriale, così come del 35% dell’inquinamento da microplastiche dell’oceano. Per non parlare della produzione di oltre 90 milioni di tonnellate di rifiuti tessili l’anno. Se le abitudini del consumatore medio, dunque, non sono poi così tanto sane, occorre chiedersi come poter porvi rimedio. Innanzitutto sarebbe auspicabile una decelerazione del consumo, e di conseguenza della produzione di questi grandi marchi troppo “fast” per un pianeta che ha bisogno di uno stop. Il fermo mondiale che ha portato il Covid-19 può essere un’occasione, invece di una condanna, per migliorare la sostenibilità a lungo termine nelle grandi aziende moda. Allo stesso tempo può essere momento di riflessione per il lettore-consumatore nello scegliere come e dove acquistare.