BETORI ALLA POLITICA, NELLA FESTA DI SAN GIOVANNI

L’Arcivescovo di Firenze sa bene che l’Omelia, il messaggio che arriva, nel giorno della Festa di San Giovanni non è solo rivolto ai fiorentini, ma a tutte le genti di Toscana e non è di quelli che si possono “solo” ascoltare e condividere.Betori ha lasciato intendere questa volta che non cerca l’apprezzamnto per le parole ad effetto, per la passione, per le citazioni.Il suo è un profondo discorso di amore e speranza dopo che la comunità, tutta, si è ritrovata sull’orlo dell’abisso causato dalla pandemia.Ed il pericolo, come vediamo ancora ogni giorno, non è scampato.I rischi sono ancora infiniti. Le paure ed il buio delle tenebre sembrano dominare i nostri cuori, gli egoismi sembrano vincere.Il vicino, il collega, il compagno di lavoro diventano nemici, la lotta per la sopravvivenza del nostro io sembra non aver pietà dell’altro, degli altri: «Uscendo dall’angoscia dei mesi di crescente diffusione della pandemia – ci dice l’arcivescovo di Firenze – sentiamo il bisogno di ripensarci in modo nuovo, di staccare dal nostro passato, perché proprio il tempo delle limitazioni imposte dal contrasto alla circolazione del virus ha permesso di fare un discernimento – speriamo profondo quanto ce n’è bisogno – tra ciò che è davvero essenziale nella vita umana e ciò che invece l’appesantisce perché non appartiene alla sua autenticità. Troppe cose che sembravano irrinunciabili ci sono apparse vacue, e qui possiamo mettere tutto il mondo del consumismo, mentre di altre abbiamo capito quanto fossero indispensabili, e penso anzitutto alle relazioni tra le persone».La consapevolezza per l’essenziale può aiutarci a sortire Tutti insieme dalla crisi. Ognuno di noi è richiamato, da questa situazione, a ripensare alla propria identità, al proprio impegno verso la ricerca di una identità fatta di amore e non di odio, di attenzioni per quelli che ancora di più oggi, rimangono indietro. Allo stesso senso di attenzione per la nostra cara e bella Firenze e qui mi permetto di aggiungere, forzando un po’ nella visione prospettata, anche la nostra cara Piana.Nel riconoscere tutto ciò, Betori, non può che riconoscersi nelle parole del venerabile Giorgio La Pira che da politico e statista oltre che credente volle affermare la centralità di una bellezza interiore ed esteriore : «Firenze ha una propria universale missione nel sistema della civiltà umana e cristiana: essa inserisce, infatti, nel dinamismo così attivo del mondo moderno un elemento equilibratore di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace: essa costituisce per gli uomini di tutti i continenti come una riserva pura, un’oasi delicata, che ha per tutti un dono di elevazione, di proporzione, di misura. Ecco perché Firenze appartiene, in certo modo, a tutti i popoli e a tutte le genti». Una visione che si fa anche concreta: «In una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)».Tutto indirizzato verso la bellezza, verso la vivibilità, l’attenzione per l’ambiente in cui si trova il senso stesso della casa.In queste parole quindi l’arcivescovo ha voluto indicare un «progetto di rinascita della città» che può orientare «le scelte urbanistiche, economiche, imprenditoriali, sociali che si dovranno fare nei prossimi mesi».Nell’omelia del cardinale Betori, ha voluto per questo, indirizzare il pensiero ad uno degli artefici del senso alla bellezza, a quel Filippo Brunelleschi che ebbe come punto di riferimento l’infinito fu «ciò che gli permise di osare, giusto seicento anni fa, il progetto di questa cupola, misurandola di braccio in braccio fino al cielo». La foto è di repertorio e vede, nelle cattedrale di San Romolo a Fiesole, l’arcivescovo di Firenze, Betori insieme al vescovo emerito di Prato Gastone Simoni e l’attuale vescovo della diocesi pratese Giovanni Nerbini