IL CARO VECCHIO ZIO SILVIO. AL CANTO DEL CIGNO

IL CARO VECCHIO ZIO SILVIO. AL CANTO DEL CIGNO

Lo ammetto, sebbene mi ero ripromesso di non ascoltare né leggere gli sproloqui del Cavaliere, alla fine non ho resistito. In realtà a farmi cambiare idea è stata la sindrome dell’escluso; più o meno come quando, dopo uno show televisivo molto atteso, tutti ne parlano, e l’unico che si era astenuto dal guardarlo si sente straniero a sentire gli altri che commentano l’evento senza riuscire, non dico ad interloquire sul punto, neanche a capire i discorsi altrui. Vi è poi anche un’altra ragione, da non mettere affatto in secondo piano. Sebbene la discesa in campo di Berlusconi sia stata la più grande sventura che abbia colpito l’Italia negli ultimi venti anni, rimane pur sempre una sventura che fonda la sua legittimazione sui voti di circa metà del Paese, sicché un minimo di attenzione all’ultimo show del nostro è doveroso. Fatte queste brevi premesse mi permetto un’ultima aggiunta prima dell’analisi. Mi sono limitato a leggere l’intervento, dunque tutto ciò che attiene alla recitazione (che obbiettivamente di questo si tratta) mi manca, sebbene dopo due decenni credo di conoscere i toni usati dal nostro attore per dare maggior enfasi alle sue parole. Ed infatti sin dall’incipit trovo la conferma del fatto che ciò che sto per leggere non è altro che una stanca riproposizione di quanto già visto, letto e sentito. Il classico tono familiare, con cui il nostro, da consumato attore, cerca di entrare in confidenza con gli ascoltatori. Si potrebbe obiettare che, conoscendolo, nessuno caschi più a questi trucchi; mi permetto di dissentire su questa affermazione. Se vi è una cosa che si deve riconoscere al nostro è che conosce molto bene il suo target di riferimento (immagino che definire i suoi ascoltatori/elettori con termini pubblicitari dovrebbe fargli piacere), sicché sa benissimo che il tono familiare, soprattutto in riferimento al capoverso successivo, è fondamentale. Infatti dopo averci messo a nostro agio, dopo averci fatto entrare in sintonia col nostro caro vecchio zio Silvio, quello che risolve i problemi, ci sbatte in faccia i problemi economici del Paese.  Ma gli stessi hanno un impatto minore di quello vero, perché è uno di famiglia che ce li racconta, e lo fa solo perché ha già la soluzione per risolverli. Niente da dire, se questa tecnica fosse stata usata da un nuovo politico avrebbe tutta la mia ammirazione; messa in scena da chi lo ha fatto ripetutamente per venti anni, oltre ad essere il principale artefice di quei problemi, assume i toni del grottesco. Ma lo stile è quello, solo che ora abbiamo gli strumenti per smascherarlo (a dire il vero sono almeno 15 anni che li avremmo questi strumenti, ma fa niente!). Entriamo nel merito della sua ricetta: il liberalismo. Per il nostro la colpa di questa situazione economica è il peso dello Stato, sia sotto forma di burocrazia che sotto forma di peso fiscale; apro parentesi, ma alla fine del suo ultimo governo la colpa della crisi non era esclusivamente da addebitarsi alla congiuntura economica mondiale? In pochi mesi la causa prima che aveva affossato il suo Governo è venuta meno? So già che non avrò risposta a questo dubbio, ma pazienza. Un altro dubbio: quando il nostro parla di liberalismo si riferisce solo ed esclusivamente alla teoria economica o più in generale all’idea liberale dello Stato? Le due cose non sono necessariamente sovrapponibili. Perché se vuole passare come un liberista puro in economia non faccio fatica a credergli, ma se cerca nuovamente di spacciarsi come liberale, lo pregherei di evitarci il bis della presa in giro. Che lui ed i suoi adepti siano dei liberali è probabile come la neve a ferragosto in Sicilia. Prova ne sia che soggetti intimamente intrisi della filosofia liberale, che un tempo militavano in Forza Italia, oggi ne sono fuori (si pensi a Martino, Pisanu od altri). Torniamo alla ricetta del nostro. Meno Stato, meno spesa pubblica, meno tasse. Domanda: considerando che è stato Presidente del Consiglio per gran parte del tempo che ha passato in politica, perché tutti questi meno (ma un tempo le sue campagne elettorali non erano costellate dai più? Più inglese, più impresa, più ecc ecc, anche questo un segno dei tempi) non li ha realizzati? Quest’ultima domanda deve essergli sembrata tanto scontata che mette subito le mani avanti, cercando goffamente di giustificarsi. La colpa non è mica sua, ma degli italiani che non gli hanno mai dato una maggioranza vera, nonché di tutti i partitini che lo hanno sempre ricattato impedendogli di fare le riforme, ed in ultimo della sinistra che, per quei pochi anni di governo in proprio, ha subissato di tasse gli italiani ed appesantito lo Stato con una spesa pubblica eccessiva. Smascheriamo le bugie dietro a questi passaggi. Intanto la stupidaggine delle maggioranze non decisive. Il nostro ha sempre avuto a disposizione maggioranze ampie, all’inizio dell’ultima esperienza di Governo addirittura bulgara, e tutte formate da alleati che lo hanno sempre seguito in tutto. Certo una volta ogni tanto anche la destra o la Lega hanno chiesto qualche provvedimento, giusto per far vedere che c’erano pure loro (ed infatti si è visto coi disastri scaturiti da queste iniziative, una su tutte la Bossi-Fini), ma per il resto hanno sempre riconosciuto chi fosse il capo, assecondandone ogni capriccio. E chi ha avuto quel minimo di coraggio, o follia o semplicemente si è fatto due conti tra calendario e possibilità di leadership, di smarcarsi ha sempre pagato in termini politici e di visibilità – vedi su tutti Fini e Casini. Dunque che il nostro non ha potuto applicare il liberalismo all’Italia per colpa di altri è una sciocchezza, divertente, ma sempre sciocchezza. Forse il problema è che per applicare principi di funzionamento dello Stato, nonché economici, servono ministri, o comunque politici, capaci. Forse cercare di far migliorare il funzionamento della P.A. con certi ministri che hanno avuto il solo merito di fare incazzare tutti i dipendenti pubblici, non è stata un’idea geniale. Forse, e dico forse, la verità è che non è riuscito ad individuare soggetti sufficientemente capaci di fare le riforme. Ma forse no, forse mi sbaglio, perché ciò implicherebbe una sua colpa, quanto meno quella di non essere stato in grado di circondarsi di persone capaci; e che il nostro possa sbagliare è impensabile. Allora la verità è che è l’Italia ad essere non migliorabile, deve essere la struttura statale creata ab origine ad essere impossibile da aggiustare. Eppure mi pare di ricordare che quando la sinistra è riuscita a Governare sul serio (vedi i Governi Prodi, soprattutto il primo) alcuni passi avanti nel diminuire il peso dello Stato nelle nostre vite era stato fatto (vedi le Bassanini). Consideriamo, allora, il discorso sulla spesa pubblica. E’ vero che la colpa è tutta da addossarsi alla sinistra? Se guardiamo un qualunque grafico dell’andamento della stessa negli ultimi anni ci accorgiamo subito della falsità, ma per fare questo un elettore dovrebbe fare lo sforzo di informarsi, dunque se volete sapere la verità fatevi questa ricerca e scoprirete che il nostro, sul punto, non è stato proprio sincero. In conclusione ci troviamo di fronte alle solite bugie con cui ha cercato, e bisogna riconoscere è riuscito, a rimanere a galla per venti anni pur essendo stato il peggior statista (scusatemi la parola) che l’Italia abbia mai avuto. Ma che il nostro stia perdendo molto del suo potere di comunicatore lo si vede da altro. In tutti i discorsi di questi anni, pur perseguendo sempre e comunque un solo obiettivo, è sempre riuscito a nasconderlo talmente bene tra le pieghe dei suoi discorsi, che solo i più maliziosi di noi se ne erano resi conto. Ma in questo ultimo intervento tale capacità è venuta meno. Infatti dopo aver detto le quattro cosette sopra riportate non resiste più, e parte subito all’attacco della magistratura. E stavolta che tutto il discorso non fosse altro che una scusa per  un’autodifesa è talmente chiaro che anche i più ostinati sostenitori del nostro non potranno non averlo capito. Un tempo forse ci sarebbe riuscito ad infinocchiarli, sembra che tale capacità l’abbia persa. Non entro nel merito del discorso autoassolutorio, cose troppe volte sentite, cose vecchie e stantie, sarebbe una perdita di tempo. Dopo aver elargito la sua oratoria per ciò che gli importava davvero, torna al vecchio clichè di sempre, la sinistra come forza nemica, sia sua personale che dell’Italia intera, da battere ed abbattere. E qui via con la chiamata alle armi dei suoi sostenitori. Ma proprio non ce la fa a rimanere in tema, un tempo avrebbe sproloquiato sulla sinistra per una mezzoretta intera, ormai non gli interessa più, e torna a riparlare di giustizia, che proprio non gli riesce di togliersi dalla testa questo pensiero, poverino. Peraltro se consideriamo come la sinistra in questi anni sia stata spesso, salvo momenti di incapacità momentanea di intendere e volere, una costola del partito di Berlusconi, questo astio dimostrato dal nostro è quantomeno ingrato. Senza la sinistra, questa sinistra, il nostro non avrebbe mai messo piede in Parlamento, o almeno sarebbe stato considerato non eleggibile dalla giunta a maggioranza ulivo, non avrebbe avuto rete4, almeno non dopo la legge Maccanico, ecc ecc. La sensazione che si prova alla fine della lettura, o dell’ascolto per chi, al contrario del sottoscritto, ha sentito in diretta il discorso, è quella del canto del cigno, dell’ultimo patetico tentativo di un uomo finito di salvarsi dall’inevitabile caduta, peraltro evitata troppe volte e per troppo tempo. Ma si consoli il nostro con un pensiero che dovrebbe rallegrargli le giornate, con questa sinistra c’è sempre la possibilità che si salvi anche questa volta; dunque non si abbatta troppo. E cribbio un po’ di ottimismo!