L’ADDIO AL BASKET GIOCATO DI MANU, EL CONTUSION, GINOBILI

“E adesso entra in campo il giocatore argentino Manu… Ginobili”; “Manu?!”; “Sì sì… Manu” e giù risate. Era l’autunno del 2002, più di tre lustri fa, e quelli che sghignazzavano erano due competentissimi telecronisti americani. Beh, competentissimi all’americana naturalmente: cioè conoscenza perfetta del loro sport e di chi si esibisce entro i confini a stelle e strisce, ma poi fuori da lì un’idea vaghissima di cosa succeda in campo sportivo (e purtroppo, spesso, non solo sportivo). Quindi, uno che in Europa era considerato il top già da un paio d’anni, per loro era solo un ragazzino dal naso pronunciato e con un nome dalla comicità irrresistibile. Manu, appunto. L’altro giorno quel “nasone” argentino, arrivato a 41 anni, ha deciso che poteva bastare così, e ha detto “ciao” al basket giocato. E lo ha fatto accompagnato dai messaggi ammirati, e anche commossi, di tutti i più grandi giocatori americani. Ma attenzione: se ha deciso di smettere perché probabilmente come Forrest Gump “si sentiva un po’ stanchino” dopo sedici stagioni Nba, è perché lo ha deciso lui. Infatti appena pochi mesi fa aveva guidato ciò che restava dei San Antonio Spurs (devastati da infortuni e… vecchiaia) all’ennesima partecipazione ai playoff. Quindi se avesse deciso di continuare e magari chiedere un contratto quinquennale glielo avrebbero accordato senza problemi. Per dire: il sindaco di San Antonio ieri ha deciso che da ora in poi il 30 agosto nella città texana sarà il “Manu Ginobili day”. Una festa del santo patrono inventata apposta per lui praticamente. Mica male. Come si diceva mesi fa in occasione dell’annuncio dell’addio di Iniesta al Barcellona (e quindi, sostanzialmente, al calcio “vero”) nella vita la casualità ha una sua parte importante, cioè puoi essere anche molto bravo ma qualche coincidenza favorevole ci vuole. Per Manu la prima fu approdare in Italia, alla Viola Reggio Calabria, scoperto da qualche osservatore con il fiuto da cane da tartufo e con buoni informatori. Insomma, alla fine degli anni novanta internet non era quello che è adesso, trovare un argentino (non tanto alto, non tanto grosso) che giocava in provincia e crederci era roba quasi da “fattucchiere”. E invece quel ragazzino appena arrivato fece cadere la mascella a chiunque lo vedesse giocare: uno spettacolo, due gambe di caucciù e una testa per il gioco come raramente si era vista. Poi il passaggio alla Virtus Bologna e la consacrazione italiana ed anche europea. Ma chissà se sarebbe bastato per diventare una stella anche al di là dell’oceano se nel frattempo non ci fosse stato l’altro incastro fortunato. Alcuni anni prima infatti, quando aveva giocato una sola stagione in Italia, Ginobili era stato scelto alla fine del secondo giro (numero 57, cioè quando ci sono già gli inservienti a pulire la sala) dai San Antonio Spurs. Un po’ perché Popovich (lo stroico allenatore di San Antonio) e compagnia erano anni luce avanti al resto delle squadre Nba nell’apertura al mondo circostante, e un po’ perché avendo vinto il titolo l’anno precedente sceglievano in fondo alla fila, e avevano bisogno solo di gente che non arrivasse rompendo le scatole chiedendo minuti in campo. Come si vede una serie di combinazioni non da poco. Poi magari Manu sarebbe diventato una star Nba lo stesso, è possibile, però iniziare lì, alla scuola di Greg Popovich con Tim Duncan a fargli da chioccia è stato un bel colpo. Anche se è vero che ci mise pochissimo a farsi apprezzare: anzi, successivamente Popovich disse che fu lui, Ginobili, ad allargare gli orizzonti mentali della squadra. E questo soltanto essendo se stesso, facendosi brutalizzare in allenamento senza dire neanche “ahi”, tanto che venne ribattezzato “el contusion” per motivi facilmente intuibili, e portando il suo stile del tutto nuovo. E questo non è davvero un modo di dire: Ginobili ha inventato un movimento, il cosiddetto “Eurostep”. Un’entrata a canestro cambiando direzione sul secondo passo, praticamente il dribbling argentino portato nel basket. Sì, ok, il nome quindi poteva essere diverso, ma come si diceva gli americani hanno un’idea abbastanza nebulosa di quello che succede fuori dai loro confini nazionali. E quindi “eurostep”… Ma ad ogni modo quel movimento poi hanno cominciato a copiarlo tutti quelli che erano in grado di farlo. Cioè quelli molto bravi. Dunque un essere speciale, anzi come ha detto Popovich: “Un soggetto anomalo, forse non esattamente un essere umano. Io uno con quella ferocia in campo non l’ho mai visto”. Uno però al contrario sempre tranquillissimo e sorridente fuori dal campo. E probabilmente il segreto sta tutto lì: spaccarsi una parte anatomica piuttosto famosa fino all’impossibile quando ci si allena, però poi riportare tutto nei giusti limiti appena usciti da quel rettangolo colorato. Il buon Manu adesso avrà più tempo da dedicare al resto, a cominciare dai tre figli chiamati Luca, Nicola e… Dante. Ecco, questo tanto per chiarire che il nostro paese è stato ben presente nella testa del campione col numero 20 sulla maglia. Anzi, in tempi di naturalizzazioni selvagge come quelli attuali si sarebbe potuto pensare anche ad “una rapina” ai danni della nazionale argentina. Ma Ginobili sicuramente non ci sarebbe stato: lui la nazionale argentina l’adorava. Non proprio quello che capita oggi con alcuni nostri famosi giocatori Nba, che diciamo non sono esattamente disperati se la loro squadra americana non dà il benestare alla loro partecipazione alle qualificazioni mondiali con la nazionale azzurra. Ma questa è un’altra storia: triste. Quella di Ginobili con l’albiceleste invece è allegra, molto. Specie ricordando quella semifinale olimpica dove l’Argentina distrusse il dream team americano in una partita leggendaria. Ecco, già avevano smesso di ridacchiare da un po’ di tempo, ma da lì in poi i telecronisti americani presero a maneggiare con estrema cura tutto ciò che venisse dall’estero in fatto di basket. E adesso anzi si sforzano di pronunciare con la massima correttezza e serietà anche un Giannīs Antetokounmpo (nuova star del basket Nba proveniente dalla Grecia), roba veramente dura per loro ma fatta col massimo impegno per evitare figuracce storiche. Grazie anche per questo Manu.