A PROPOSITO DELLE OPERAZIONI ANTI-TERRORISMO
Un punto (sommario) su indagini anti-terrore.Le operazioni anti-terrorismo condotte in Italia in questi ultimi giorni rappresentano la conferma dei quattro ruoli rivestiti dal nostro paese.1) Azione di proselitismo: cattivi maestri provano a reclutare e pescare adepti, compresi i minori, ripetendo quanto fatto dal Califfato in Iraq e Siria. E’ una missione a lungo termine che darà dei frutti in futuro. Se ad oggi da noi non ci sono stati attentati è anche perché la “piscina” dove nuotano questi “pesci” è ridotta, ci sono pochi elementi. Di certo inferiore alle realtà belga e francese. Ma domani il loro numero potrebbe crescere. E i jihadisti – non importa se Isis o al Qaeda – investono senza guardare troppo al calendario.2) Rete di sostegno: sono emersi legami con Anis Amri, lo stragista di Berlino. Spesso gli attentatori individuali – non i lupi solitari – godono di appoggi in altri paesi. E’ un network logistico, in grado di favorire movimenti e dare assistenza. E’ un “dispositivo” molto fluido, basato su rapporti a volte personali/familiari, ma che può tramutarsi in qualcosa di più pericoloso. Quattro o cinque si occupano del “contorno” lasciando poi ad uno dei “fratelli” la missione operativa vera e propria. Non va neppure escluso che la filiera serva per le vie di fuga. Il mujahed deve morire nell’attacco, ma non mancano episodi dove il terrorista scappa in vista di futuri impieghi. Amri è deceduto solo perché è stato intercettato da una pattuglia della polizia a Sesto San Giovanni ed ha aperto il fuoco.3) La connessione con l’immigrazione clandestina: è storia vecchia, già negli anni ’90 gli islamisti nord africani erano profondamente coinvolti nella contraffazione di documenti da fornire ai clandestini oppure ai professionisti di al Qaeda. Gli estremisti fanno transitare migranti, ricavano denaro dal traffico e quando serve sono capaci di far arrivare uno dei loro uomini fino nel cuore dell’Europa. Dunque l’Italia è punto di passaggio fondamentale. Da sempre.4) La radicalizzazione di non pochi aspiranti militanti si verifica nel continente europeo, spesso in prigione, oppure in piccole comunità cresciute e sviluppatesi in località della provincia dove pensano che i controlli siano inferiori rispetto alle grandi città. Polizia e carabinieri hanno tuttavia fatto buona guardia, come dimostrano le ripetute retate necessarie a tagliare l’erba cattiva. Mancano, per ora, all’appello i veterani della guerra santa: l’Unione Europea ne teme il rientro, con in spalla il bagaglio d’esperienze. Sono una minaccia costante che tuttavia deve materializzarsi. Nel frattempo il lavoro è rimasto nelle mani di chi non è partito.Guido Olimpio (Corriere.it)
