RICORDANDO DANILO ZOLO
Avevamo entrambi 17 anni un giorno di autunno del 1953 quando Danilo Zolo, appena arrivato a Firenze dal Friuli, entro’ accompagnato dal preside nella mia classe, la terza B del liceo classico Dante, per sedersi nel posto libero accanto al mio. Avvio casuale di una grande, profonda amicizia, interrotta solo dal mio trasferimento alla Rai di Roma, nell’ottobre del 1965. Dodici anni per me – forse anche per lui – i più significativi per la formazione e le scelte avvenire. Fu lui a consigliarmi, nell’estate del 1956, la lettura di un libro destinato ad imprimere una svolta al nostro orientamento di “cattolici del dissenso”, “Rivoluzione personalista e comunitaria” di Emmanuel Mounier, direttore di Esprit. “una lezione ad ogni riga – mi scrisse raccomandandomene la lettura – è un libro così denso di sostanza culturale e umana che oso definirlo come il migliore libro che abbia mai letto”. Un’amicizia cementata dalla frequentazione di grandi maestri che avemmo in comune. Non solo all’ università, quando preparavamo insieme gli esami di giurisprudenza, compreso quello per lui decisivo di Filosofia del diritto su un testo di Norberto Bobbio, ma poi anche al Cenacolo di padre Ernesto Balducci e nella redazione della rivista Testimonianze. Incontrando quasi quotidianamente personalità eccezionali come Giorgio La Pira, David Turoldo, Nicola Pistelli, Mario Gozzini e altri ancora, ma soprattutto lui, Balducci, autore dell’”Uomo planetario”. Poi ognuno ha approfondito, rielaborato, praticato gli insegnamenti ricevuti: Danilo Zolo, giurista, filosofo e politologo illustre ( “uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo novecento”, ha scrittoEmilio Diodato sul Manifesto); io un giornalista fra tanti, inviato dalla Rai alla ricerca sui fatti di verità più o meno probabili. Purtroppo la lontananza ha prodotto solo rare occasioni di incontro o di scambio epistolare nei decenni successivi, così cheil dolore per la notizia della morte di Danilo mi ha colto di sorpresa durante le vacanze che trascorro da molti anni nei luoghi di origine di padre Balducci, sul monte Amiata.Ora le memorie si affollano confusamente nella mia mente, ci vorrà del tempo per riordinarle ed eventualmente scriverne. Ma tra i tanti ricordi che ho di lui, conservo due brevi poesie – che riproduco a lato – da lui scritte proprio in quel lontano 1953 per un giornalino scolastico di cui ero allora redattore. La prima che volle intitolare “Amicizia”, la seconda “Vita”. Alla moglie Serena, al fratello Paolo e agli amici che abbiamo avuto in comune un abbraccio affettuoso nel suo ricordo. (Nella foto in evidenza: Danilo testimone al mio matrimonio, 29 dicembre 1964).
