SONO A SALONICCO CON L’IRAN CHE NON MI LASCIA ANDARE VIA
Sono a Salonicco. Oggi riparto per raggiungere Igoumenitsa. Ieri Antonio e Tania mi hanno fatto mangiare una serie di cose squisite. Troppe cose. Era un mese che non mangiavo così. Sono curioso al mio rientro di quello che potrà dirmi la bilancia. In Iran avevo cambiato del tutto il mio regime alimentare, allineandolo in pratica agli obblighi del ramadan: mangiare mattina e, poco, la sera, nulla durante il giorno. Solo bere.Antonio e Tania sono una storia a parte non del viaggio ma della vita. Ora sono a casa loro, c’ero già stato all’andata, e tutto nasce da un incrocio sui banchi di scuola con Antonio, quando avevamo quindici anni, primo liceo. Io che arrivavo nella nuova classe, lui che dopo poco ne usciva. I casi del destino. Ma ci.incrociammo quel po’ che fu sufficiente per farmi ricordare un taglio di capelli un po’ mossi, un’immagine sfocata di lui in classe, un giorno, in piedi davanti alla prima fila dei banchi, entrando a sinistra, e un nome, Antonio Ceci, che da allora non mi suonò più come estraneo o mai sentito. Poi basta. Ci perdemmo. Ora sono qui, a Salonicco, nella casa sua e di Tania, la ragazza greca con cui ha costruito la sua famiglia e la sua vita, con una scelta – ieri mi raccontava Tania – che ebbe allora una forte dose di coraggio, ma felice. Perché bisogna crederci nella vita, bisogna saperne raccogliere i suggerimenti quando la vita te li dona. E anche il nostro nuovo incontro in fondo è stato una cosa così, il raccogliere il seme di una conoscenza quasi morta e dargli un momento di attenzione, curarlo, crederci. E ne è nata una impensabile amicizia.Ieri a Tania ho regalato una delle buste di “droga” portata dall’Iran, quella che mi aveva procurato tanti grattacapi alla frontiera fra Armenia e Georgia. E grazie a Internet e al nome che mi ha inviato Mohammad da Tehran, abbiamo capito di cosa si tratta: in persiano khakshir, nome scientifico descurainia sophia, fa bene al fegato e rinfresca. Abbiamo anche trovato la descrizione di come si prepara. Come sospettavo occorre anche un po’ di acqua di rose. I bazar persiani in questi giorni sono profumati da cumuli di petali di rosa canina, perché la gente l’acqua se la fa in casa e alcuni usano le rose per distillarne l’essenza goccia a goccia.Mi ha scritto K. Mi scrive anche Mohammad. Eccolo l’Iran che non mi lascia andare via, che vuole essere con noi, di qua, con l’Occidente. K. dice, tra l’altro: “I want arrange something with you about export man made handcraft of western part of Iran. In first step I need to know some main favorite things and culture of Italian people….”. Eh già, ma vallo a capire oggi cosa vogliono gli italiani e cosa può essere buono per accontentare il nuovo orgoglio dell’ignoranza. Nella città di K., Sanandai, ho visto ancora tanti oggetti prodotti da un artigianato kurdo vivo e tipico, le scarpe in corda di lino tessute a mano, i bellissimi berretti, tutta una coltelleria artigianale bellissima e elegante, borse di stoffe colorate, gonne, corpetti… ma sono cose belle. E per noi, oggi, c’è ancora spazio per il bello? O anche questo è deriso?Per certi versi sono ansioso di tornare, di vedere. Quando sono andato via il peggio aveva già emesso il suo rullo di tamburi. Ma vederlo all’opera…. La furia, il rigurgito rabbioso, hanno un loro orribile fascino. La ragione dei cretini un suo candore senza pietà.
