CARA RAGGI, LA STORIA NON SI SFRATTA

CARA RAGGI, LA STORIA NON SI SFRATTA

E adesso è arrivato lo sfratto. Il Comune di Roma ha deciso la revoca immediata della concessione alla Casa internazionale delle Donne. Fuori tutte. Le manifestazioni sotto il Campidoglio (migliaia, donne e uomini, selva di ombrelli sotto il diluvio di maggio), le raccolte di firme (ormai ben oltre le centomila), le testimonianze, le carte a riprova degli investimenti per la comunità. Tutto respinto, alla vigilia d’agosto. “La casa siamo tutte”: “un luogo storico, il riferimento di oltre 30.000 donne che la visitano ogni anno e delle numerose associazioni che la fanno vivere, il punto di incontro, confronto culturale e politico, di crescita personale e professionale, l’archivio del femminismo, la sede di tante battaglie delle donne contro discriminazioni e violenze, è a rischio”, è scritto sul sito. Ma la Casa non chiude, rilancia, tutti i giorni, tutte le sere, continuano le iniziative, dalle rassegne di cinema alla scuola di ballo, presentazioni di libri, dibattiti, incontri internazionali, come sempre e più di sempre. Una “Chiamata alle arti” da tutto esaurito, alla quale hanno risposto tantissimi, da Paola Turci a Zerocalcare, da Fiorella Mannoia a Zoro, Sonia Bergamasco, Paola Cortellesi, Jasmine Trinca, Tosca… un elenco lunghissimo. Ma, oltre la rabbia, il senso di ingiustizia, c’è da fermarsi a riflettere su questa vicenda, fatta di affitti troppo onerosi, di servizi alla comunità senza alcun contributo, di un palazzo secentesco la cui manutenzione è curata dalle associazioni che lo fanno vivere: un bene comune, aperto, sul quale l’amministrazione intende solo far cassa, come se fosse dato in affitto a un atelier d’alta moda… In punta di legge e di regolamento, si dice. Mentre in realtà si distruggono esperienze sociali non solo radicate sul territorio, ma punto di riferimento internazionale. E la domanda è antica, antichissima: cui prodest, a chi fa gioco, aggredire una esperienza autonoma di questo livello? Non alla Città di Roma. Non alle donne che la vivono. Non a tutte (e tutti) quelli che sanno che è comunque un punto di riferimento anche se non ci hanno mai messo piede. Perché la logica vorrebbe che un luogo così culturalmente vivace fosse caro alle amministrazioni, che addirittura l’affitto fosse un pro-forma, che i sindaci (e le sindache) bussassero a quella porta da ospiti, non da padroni. O non è proprio quella “autonomia”, così forte, così ribadita, da regolare? A suon di soldi e contratti, convenzioni chiuse in anticipo (quella attuale, stracciata il 25 luglio, doveva scadere nel 2021), per fare che, perché sia un ufficio comunale a “coordinare” la futura Casa? La Casa delle Donne di Roma è un simbolo, e non è il solo luogo delle donne sotto sfratto: chiudono i centri antiviolenza, senza sufficienti fondi pubblici, sfrattati dai Comuni. L’ultimo è lo “Sportello Donna” di Pavia, qualche giorno fa. Alla responsabile, Isa Maggi, dopo 21 anni di presenza dell’associazione sul territorio, è stato detto: “Riceva le donne a casa sua”.