FUORI DALLA SCUOLA, FUORI DA TUTTO

FUORI DALLA SCUOLA, FUORI DA TUTTO

Prato celebra fra poche ore il 74.o Anniversario dalla Liberazione e come Prato tanti luoghi, tante persone ricorderanno e porteranno a lungo viva la memoria. I giorni, gli anni scandiscono la fine della barbarie e come non ricordare tutto quello che ha dato inizio alla fine di ogni sentimento di umanità? Come non ricordare una società che si è piegata all’odio, alla paura, all’indifferenza. Certo i colpevoli risiedevano in alto, contavano sul malcontento, avevano le armi ma questo non può bastare a giustificare chi a chinato il capo, chi ha sorriso di fronte all’egemonia della dittatura ed alla prevaricazione sugli altri E visto il tempo come non ricordare anche le leggi razziali, di quel 14 luglio del’38, con il Manifesto della Razza ed il 5 settembre con la firma proprio in Toscana, alla villa del Gombo nella tenuta di San Rossore a Pisa, del regio decreto per la difesa della razza nella scuola fascista. A firmate re Vittorio Emanuele, Mussolini, il ministro Bottai, l’ammiraglio di Revel e con loro tanti complici e tanti che girarono il capo dall’altra parte o peggio ancora minimizzando la portata di quella infamia. In quello stesso luogo tanti anni dopo altre persone come Rita Levi Montalcini ed Enrico Alleva firmeranno, nel 2008, il Manifesto degli scienziati antirazzisti: dieci punti del tuttoopposti, a partire dall’affermazione che le razze non esistono. Che l’umanità deve prevalere sulla disumanità. Ma in quei tragici anni della dittatura il 6 ottobre ecco la Dichiarazione sulla razza approvata dal Gran Consiglio del fascismo e pubblicata il 26 ottobre, il 17 novembre il regio decreto con i Provvedimenti per la razza italiana (con il divieto per gli ebrei di lavorare alle dipendenze di enti pubblici). Una deriva senza fine che vedeva incolpare le minoranze di tutto il male. Una deriva che poi porterà come naturale conseguenza perseguita dalle dittature alla tragedia del secondo conflitto mondiale. “Ricordare è sempre importante”, dice in un’intervista all’ANSA Liliana Segre, senatrice a vita, 88 anni. Una dei soli 25 bambini italiani sopravvissuti ad Auschwitz, da 30 anni testimone, anzi araldo come dice lei, della memoria, che nel film di Treves presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, torna con il suo carico di sentimenti ed emozioni nel ventre di Milano. Su quel Binario 21 sotto la stazione centrale dove partì bambinetta destinata al campo di concentramento. “Il razzismo e l’antisemitismo non sono mai sopiti, solo che si preferiva nel dopoguerra della ritrovata democrazia non esprimerlo. Oggi è passato tanto tempo, quasi tutti i testimoni sono morti e il razzismo è tornato fuori così come l’indifferenza generale, uguale oggi come allora quando i senza nome eravamo noi ebrei. Oggi percepisco la stessa indifferenza per quelle centinaia di migranti che muoiono nel Mediterraneo, anche loro senza nome, e ne sento tutto il pericolo”.