ERIK PRINCE CI RIPROVA

Erik Prince ci riprova con il suo piano. In Afghanistan invece che usare soldati occidentali sarebbe meglio impiegare mercenari – è la sua tesi – perché più economici e portano maggiore efficienza. L’uomo che è diventato famoso al mondo con la sua società di guardie private Blackwater, oggi ribattezzata Academy, insiste con il progetto ambizioso quanto controverso.Già alcuni mesi fa si era lanciato offrendo la proposta direttamente alla Casa Bianca, prefigurando la nomina di una sorta di Vicerè, ma si era scontrato con l’opposizione del Pentagono e di molti alti funzionari, dal segretario alla Difesa Jim Mattis al quello di Stato Rex Tillerson. Per loro la guerra deve restare in mano all’amministrazione, anche se parte delle attività (e non solo nel quadrante afghano) sono svolte proprio da società a contratto. Prince, però, crede che i tempi siano propizi per un mutamento. Gli Usa, insieme ai partner Nato, si battono contro gli insorti afghani da 17 anni, un impegno gravoso per il quale non si intravvedono soluzioni immediate. Dunque ecco la formula spiegata in una recente intervista a Military Times.Innanzitutto i costi. Secondo i suoi calcoli il conto si aggira sui 5 miliardi di dollari l’anno, cifra ben al di sotto di quanto speso dal 2001, quasi 753 miliari. E le stime dicono che ne serviranno circa 45 per i prossimi due anni. Il tema del budget è sensibile in quanto Donald Trump è molto attento alla “voce” spesa nel bilancio.Il secondo aspetto riguarda i numeri. Prince afferma che potrebbero bastare 6 mila “contractors” (al 60% statunitensi) e duemila membri delle forze speciali occidentali che sarebbero inglobati nel contingente a livello individuale, questo per sottrarsi alle regole di ingaggio poste dai rispettivi governi. Durata dell’impegno almeno tre anni continuativi, senza alcuna rotazione che spezzi i tempi dell’intervento. Il pacchetto, inoltre, prevede una componente aerea, con caccia e elicotteri, dove ci sono equipaggi misti: per Prince deve essere afghano l’operatore che sgancia l’ordigno. Quanto alle responsabilità in caso di errori durante la campagna saranno esaminate dai tribunali locali in accordo con la corte militare. Infine a guidare questa struttura resterebbero gli Stati Uniti in stretto coordinamento con le autorità di Kabul. Nelle intenzioni dell’imprenditore lo schema rende tutto più agile, consente la smobilitazione dei 15 mila americani e degli 8 mila soldati Nato rimasti in zona, supera le pastoie.Per i critici l’iniziativa racchiude troppe insidie. Il “prezzo” è sulla carta – ribattono -, è noto che tende a salire una volta che si entra nella fase esecutiva ed emergono le prime difficoltà. C’è il rischio di abusi, come è già avvenuto in Iraq, di mancanza di controllo effettivo: privatizzare una guerra vuol dire sottrarla ad un controllo più stretto da parte del potere politico (Congresso, parlamenti). E poi non risolve la questione fondamentale: il mini-esercito deve contare sull’abilità e preparazione dell’apparato bellico afghano rivelatosi fragile nonostante l’aiuto esterno.Considerazioni normali, ma che si scontrano con la rassegnazione dell’Occidente, sempre più convinto che questa partita sia ormai persa nonostante i sacrifici di tante vite, italiane comprese. E dunque magari Prince è convinto di poter offrire una via d’uscita al presidente. Guadagnandoci.