ALFRED HITCHCOCK. LA SUSPENSE

Il primo signore che cerchiamo di conoscere si chiama Alfred Hitchcock. Era un signore piuttosto corpulento. Il suo profilo era la sigla di una famosa serie di “gialli” televisivi. Era nato in Inghilterra, era molto “british” nel modo di parlare. I suoi film più famosi, però, li ha fatti in America. Sono “La finestra sul cortile”, “Caccia al ladro”, “La donna che visse due volte”, “Intrigo internazionale”, “Psycho”, “Gli uccelli”. È considerato il re di una cosa che si chiama suspense. E che si pronuncia “saspèns”. I suoi film sono meccanismi creati per suscitare ansia, tensioni, paure. E per farlo, Hitchcock coltiva la tecnica della suspense. Suspense, cioè “sospensione”. Che cosa è la suspense? È quello stato d’animo per cui trattieni il respiro, stai con la paura tremenda che succeda qualcosa. Sai che può succedere, vorresti avvertire il personaggio, dirgli di sbrigarsi, o di prendere un’altra strada, o di voltarsi: ma non puoi. Il regista fa in modo che tu ti senta in trappola. Vuoi sapere come andrà a finire, perché sai come può andare a finire. È Hitchcock stesso a spiegare che cosa sia la suspense. “Immaginiamo una scena in cui lei ed io stiamo parlando tranquillamente. A un certo punto, bum!, esplode una bomba. Lo spettatore ha cinque secondi di estrema sorpresa. Ma adesso, immaginate che il regista faccia vedere noi due che parliamo, poi la bomba sistemata sotto il tavolo. E poi di nuovo noi due che parliamo. Adesso lo spettatore sa che c’è una bomba che sta per esplodere. E se la conversazione dura cinque minuti, avrà cinque minuti di suspense”. In pratica, si tratta di tenere il pubblico con il fiato sospeso, informandolo di un particolare che i personaggi non sanno, per fare in modo che il pubblico provi paura per loro. Nei suoi film ci sarà tanta suspense. Si potrebbe dire che, in fondo, tutti i film del mondo vivono di suspense: il non sapere come andrà a finire, lo stare in attesa di una risoluzione. Ma i suoi film un po’ di più. Ma non c’è solo quello. Hitchcock è uno degli autori più “visuali” di tutto il cinema hollywoodiano. Tutto, nei suoi film, è legato alla visione. Lui inizia a lavorare nel cinema quando il cinema è Muto. Si abitua a comunicare emozioni agli spettatori per mezzo delle immagini. Diviene così un regista visivo, molto più che verbale. Il suo stile è soprattutto legato all’immagine. È una sequenza pressoché muta quella dell’aereo che attacca Cary Grant, in aperta campagna, in “Intrigo internazionale”; la sequenza in cui il ragazzino trasporta, ignaro, un pacco con una bomba in “Sabotaggio”, e il pubblico guarda angosciato la serie di orologi pubblici, sapendo l’ora in cui la bomba esploderà. È muto Il finale di “Intrigo internazionale”, con il raccordo tra la mano che salva Eve Marie Saint e la stessa mano che la trascina nella cabina del treno, ormai signora Copland. Nel mezzo, sono passate molte cose che non vengono mostrate, ma che immaginiamo benissimo. In “Marnie”, Tippi Hedren deve sgattaiolare dall’ufficio senza farsi sentire, noi vediamo che sta per caderle una scarpa dalla tasca, e non possiamo fare nulla per impedirlo. Poi ci accorgiamo che la governante non reagisce perché è sorda. Tutto questo viene raccontato senza neppure una parola, fino alla fine. Lo sguardo diventa addirittura protagonista di uno dei suoi film: in “La finestra sul cortile” James Stewart osserva quello che succede negli apparamenti davanti al suo e scopre i segni di un omicidio. Il tic dell’omicida che lo segnala, senza che ci sia bisogno di dire una parola, nell’ultima scena di “Giovane e innocente”. Nel film “Il ladro” Henry Fonda viene inquadrato casualmente fra due poliziotti. In “Delitto per delitto”, l’assassino disinteressato alla partita di tennis è riconoscibile perché è l’unico che non guarda la partita. Inventa anche la combinazione di zoom indietro e carrello avanti per dare la sensazione della vertigine in “La donna che visse due volte”. Quel tipo di movimento della macchina da presa dà l’idea della confusione, dello smarrimento, del caos interiore. Dopo di lui, quel movimento si è chiamato “effetto Vertigo” o “Zoom Dolly”. Lo hanno usato grandi registi come Truffaut, Scorsese, Tarantino.