HITCHCOCK, UN CINEMA METAFISICO

Mark Cousins, uno che ha diretto il più bel documentario sulla storia del cinema degli ultimi vent’anni, “The Story of Film”, mette Hitchcock in copertina del suo libro sulla storia del cinema. E scrive: “quelli che non hanno mai visto un film di Hitchcock chiudano adesso questo libro e si vedano…”, e fa una lista di suoi film. Dice di lui: “I suoi film sono lezioni sul piacere del cinema, hanno più precisione erotica di ogni altro film della loro epoca, e sono metafisici”. Ma non c’è solo quello. Hitchcock è uno degli autori più “visuali” di tutto il cinema hollywoodiano. Tutto, nei suoi film, è legato alla visione. Lui inizia a lavorare nel cinema quando il cinema è Muto. Si abitua a comunicare emozioni agli spettatori per mezzo delle immagini. Diviene così un regista visivo, molto più che verbale. È una sequenza pressoché muta quella dell’aereo che attacca Cary Grant, in aperta campagna, in “Intrigo internazionale”; la sequenza in cui il ragazzino trasporta, ignaro, un pacco con una bomba in “Sabotaggio”, e il pubblico guarda angosciato la serie di orologi pubblici, sapendo l’ora in cui la bomba esploderà. È muto Il finale di “Intrigo internazionale”, con il raccordo tra la mano che salva Eve Marie Saint e la stessa mano che la trascina nella cabina del treno, ormai signora Copland. Nel mezzo, sono passate molte cose che non vengono mostrate, ma che immaginiamo benissimo. In “Marnie”, Tippi Hedren deve sgattaiolare dall’ufficio senza farsi sentire, noi vediamo che sta per caderle una scarpa dalla tasca, e non possiamo fare nulla per impedirlo. Poi ci accorgiamo che la governante non reagisce perché è sorda. Tutto questo viene raccontato senza neppure una parola, fino alla fine. Nel film “Il ladro” Henry Fonda viene inquadrato casualmente fra due poliziotti. In “Delitto per delitto”, l’assassino disinteressato alla partita di tennis è riconoscibile perché è l’unico che non guarda la partita. Inventa anche la combinazione di zoom indietro e carrello avanti per dare la sensazione della vertigine in “La donna che visse due volte”. Quel tipo di movimento della macchina da presa dà l’idea della confusione, dello smarrimento, del caos interiore. Dopo di lui, quel movimento si è chiamato “effetto Vertigo” o “Zoom Dolly”. Lo hanno usato grandi registi come Truffaut, Scorsese, Tarantino.