LA DOMENICA BESTIALE DI ZINGARETTI ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL PD
Col nuovo segretario il partito sta recuperando terreno. Ma può perdere ogni credibilità se cede alle logiche correntizie per ritrovarsi in Direzione la vecchia nomenklatura. I sondaggicontinuano a premiareilPddiNicola Zingaretti. Poco alla volta ci si distacca da quel tragico risultato delle scorsePoliticheanche se siamo di fronte a una lenta risalita e non a una clamorosa inversione di marcia. Quel poco, che poi è tanto, che il nuovoPartito democraticosta racimolando lo può perdere tutto d’un colpodomenica 17 marzoquando si riunirà l’Assemblea nazionaleche, dopo la certificazione della nomina di Zingaretti e la probabile elezione diPaolo Gentiloniapresidentedel partito, dovrà dare una sistemata ai vertici deiprovvisori ospiti divia del Nazareno. La corsa per farsi eleggere inDirezione, come primo passo per farsi rieleggere al prossimoparlamento, è diventata più travolgente dopo il disgregarsi dellacorrente renziana. Molti esponenti di quel gruppo sono già passati colneo segretario, altri che hanno tifato perMaurizio Martinasi preparano a farlo, altri ancora costituiranno la ridotta in cui si chiuderanno i renziani in attesa della rivincita (campa cavallo…!). La corsa a posti del tutto inutili nel momento in cui si struttura una nuovaleadershipche dovrà per forza di cose presentare facce nuove, può comunque dare l’idea all’elettorato piddinoche nulla è veramente cambiato e che la vecchianomenklaturaspera ancora una volta si farla franca. DOVREBBE ESSERE IL SEGRETARIO PD A DECIDERE I MEMBRI DELLA DIRIGENZA Le ambizioni politiche sono tutte legittime. C’è però un limite che in questi anni non è stato osservato: ci sono ambizioni che distruggono l’oggetto del desiderio. Che senso ha fare la guerra mondiale per entrare nella Direzione di un partito che potrebbe di punto in bianco perdere nuovamente terreno proprio per colpa di queste gare interne? Siamo di fronte ad una delle malattie del nostro tempo recente. La fine dei partiti favorisce il crescere di smodato protagonismo per cui ciascuno è convinto che “senza di me è il diluvio”. Accadeva così anche nei partiti veri. Ilmanuale Cencellidi democristiana tradizione serviva a sistemare in modo scientifico il rapporto fra le correnti. Anche il miticoPciha sempre avuto attenzione, non solo negli ultimi anni, alle correnti, lì un tot di amendoliani, lì un tot di ingraiani, poi i berlingueriani e via via con denominazioni derivanti da cognomi di capetti locali. Tuttavia alla fin della fiera c’era un primato dell’interesse generale, del “non ci facciamo riconoscere” che spingeva a chiudere rapidamente la questione per dare un assetto dignitoso al vertice del partito. Qui invecetodos caballeros. Forse i tg del giorno dell’Assemblea, forse i quotidiani di lunedì 18 marzo ci dirannoquanti ex renziani sono saliti al vertice, chi è caduto, che fine ha fattoMatteo Orfini, seMaria Elena Boschiè forte ancora oppure no. Ovviamente frega niente a nessuno. Dovrebbe innanzitutto saperlo Zingaretti che potrebbe, qui con un gesto d’autorità che verrebbe compreso, dire alle correnti di presentare entro sabato 16 marzo alle 12 l’elenco dei propri candidati secondo un rigido criterio proporzionale lasciando però al segretario l’onere della scelta di coloro che saliranno al vertice. Per gli altri Zingaretti faccia come gli pare, cioè faccia cose nuove. Non è molto democratico e contraddirebbe la fama di uomo tollerante e inclusivo. Ma almeno il nuovo capo eviterebbe di fare la figura del fesso (non essendolo). È il rischio più grave che corre.
