ARGENTINA: AUMENTA IL RISCHIO PAESE, LAVORATORI IN SCIOPERO

ARGENTINA: AUMENTA IL RISCHIO PAESE, LAVORATORI IN SCIOPERO

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENOS AIRES Due giorni di sciopero, tra ieri e oggi, per protestare contro la crisi, l’aumento dei prezzi (YPF, l’impresa petrolifera, ha annunciato un aumento del 6 per cento della benzina, che si ripercuoterà su tutta la filiera produttiva), i licenziamenti di massa.Lo sciopero è stato criticato per la mancata unità delle sigle sindacali (tanto da essere spalmato su due giornate), ma non cambia il messaggio di esasperazione inviato alla politica. La prima giornata si è conclusa con cariche della polizia, una ventina di fermati. Così l’Argentina reagisce alla difficile situazione economica, alla perdita di potere d’acquisto dei salari, alla caduta in picchiata del peso.Il dollaro – scambiato 9 pesos nel 2015 e schizzato oltre i 13 all’annuncio della liberalizzazione cambiaria nel dicembre di quello stesso anno – nei giorni scorsi ha toccato i 47, ben oltre la banda di fluttuazione stabilita dal Fmi. Per fine 2019 è previsto a 60 pesos: una tragedia per il potere acquisitivo degli argentini. Perché al dollaro è ancorato il prezzo del petrolio, il cui aumento si ripercuote su tutta la filiera produttiva. Tanto che la banca centrale argentina è intervenuta vendendo riserve e alzando di nuovo i tassi di interesse, con tutte le conseguenze speculative ai danni dei consumatori. Non a caso, le banche hanno cominciato a chiedere il rientro anticipato dal debito a piccoli risparmiatori che avevano ottenuto un prestito due anni fa (e per il quale stanno pagando regolarmente le rate), quando i tassi erano più bassi, dato che questi stessi soldi possono essere prestati in modo più remunerativo alle nuove condizioni. La banca centrale ha infatti portato il tasso di interesse al 73 per cento il 29 aprile scorso (era al 59 per cento a fine 2018).Nessuna meraviglia che il rischio paese sia di nuovo aumentato: da Bloomberg al Financial Times, il mondo della finanza anglosassone si è svegliato all’improvviso e ha decretato che la possibilità che l’Argentina faccia default nei prossimi cinque anni è del 60 per cento. Le causa, tuttavia, non sono l’inflazione vicina al 50 per cento annuo, il debito impagabile che si è andato ad accumulare dal 2016 a oggi, le ricette del Fmi che stanno strozzando il mercato interno, la fuga di capitali. No, il rischio – secondo gli analisti finanziaria – sarebbe legato alla possibilità che, sull’onda del malcontento, Cristina Kirchner o qualche altre “forza populista” vinca le elezioni di ottobre.Ai delusi dalle politiche del governo di Mauricio Macri, andrebbe ricordato che sono le stesse da 14 anni, quando era governatore della Ciudad Autónoma de Buenos Aires: malgrado il suo passato da imprenditore e i proclami sull’importanza di sostituire l’assistenzialismo con la creazione di lavoro stabile, non ha fatto altro che pesare sul settore produttivo delle piccole e medie imprese (il 70 per cento del tessuto imprenditoriale argentino) e strozzare la classe media con aumenti delle tariffe dei servizi essenziali. Come meravigliarsi, allora, di una caduta dell’economia?Oltre un terzo degli argentini vive in condizioni di povertà. L’unico beneficiato dalle politiche del governo è stato il settore agro-pecuario, che ha visto un’ulteriore riduzione delle tasse sulle esportazioni (finanziate con l’indebitamento estero del paese). Certo, davanti all’affidabilità di questo governo, il problema è il populismo.