SE CHIEDIAMO A FACEBOOK DI CONTROLLARE E CENSURARE, POI QUELLI LO FANNO
Negli ultimi due anni si sono moltiplicate le richieste a Facebook di controllare la “propaganda politica”: Il ragionamento era apparentemente ovvio: perché la propaganda politica offline è regolamentata e quella online no? Ergo: regolamentiamola. In attesa e per evitare che arrivino le leggi dello Stato, Facebook si è dato da fare per proprio conto. Ma, una volta di più, l’attenzione sui “contenuti” rischia di portare gravemente fuori strada. Come spiega un pezzo delPost.it(I giornali americani hanno un altro motivo per avercela con Facebook), che riprende servizi della stampa americana, Facebook ha difficoltà a distinguere. Se ilNew York Timespaga Facebook per “sponsorizzare” (cioè per far vedere più frequentemente) un proprio articolo di politica, sta facendo “propaganda ”o “comunicazione politica”? Cioè un link (a pagamento) che punta a un articolo di cronaca o di opinione politica delNYTè la stessa cosa di un link (a pagamento) che punta a uno spot di un candidato al Senato? Vista la tendenza crescente delle autorità pubbliche ad affidare alle grandi piattaforme responsabilità e compiti di polizia dei contenuti, sviluppi di questo genere dovrebbero molto preoccupare i giornalisti e gli editori, che invece qui da noi sembrano attratti proprio da questo schema, come mostra tra l’altro la posizione assunta a proposito della nuova direttiva europea sul copyright. Se si vuol provare a mettere dei paletti intorno alla “comunicazione politica” o alla “propaganda elettorale”, occorre dimenticarsi dei contenuti e pensare ai soggetti. Definire, cioè, CHI è un soggetto “politico”. Un candidato alle elezioni, una lista, un partito lo sono certamente. Cominciamo da questi. Se qualcuno di questi soggetti farà finta di essere altro, si colpiscano ugualmente. Non è LA soluzione (non esiste LA soluzione), ma è una soluzione che evita guai peggiori. PS: i vecchi come me ricorderanno elezioni di tanto tempo fa, quando la propaganda elettorale si faceva con i giornali, i manifesti, i comizi (e un poco di “Tribuna politica” in TV). Allora, come oggi, vigeva la regola del “silenzio elettorale” = niente propaganda dopo la mezzanotte del venerdì antecedente la domenica del voto. Naturalmente questo non valeva e non poteva valere per i giornali, che fossero giornali di opinione o di partito, i quali giustamente continuavano a scrivere e diffondere informazioni politiche. Beh, a quell’epoca poteva capitare anche che l’organo del partito comunista,L’Unità, la domenica del voto uscisse con la prima pagina completamente riempita dal manifesto elettorale standard del partito: “Vota comunista”, con il simbolo. Ma capitò anche con un grande giornale non di partito,Il Messaggerodi Roma, che il giorno del referendum per l’abolizione del divorzio uscì con un enorme “NO” in prima pagina, che fece la storia del giornalismo e della grafica.
