UN PAESE IMPREPARATO AL MALTEMPO PUÒ DIRSI CIVILE?

UN PAESE IMPREPARATO AL MALTEMPO PUÒ DIRSI CIVILE?

“La strada provinciale 227 per Portofino non esiste più, il borgo è isolato” ha dichiarato Matteo Viacava, sindaco diPortofino. Alle 5 di mattina di ieri è collassata una carreggiata della stradaAureliaaFinale Ligure, all’altezza della zonaMalpasso. La forte pioggia ha provocato una voragine di 6 metri in cui è finita un’automobile, al volante una donna rimasta ferita. Un’altra donna, inVal di Sole, in provincia di Trento, è morta a causa dell’esondazione del torrente Meladrio. Sempre al nord, inVal Venosta, aSilandro, una bambina è rimasta ferita da un sasso, cadutole addosso mentre viaggiava in auto.Monterossoevacuata, ilporto di Rapallo devastato,case scoperchiateinValsugana,alberi che cadonoaRoma. La situazione peggiore è inCalabria, dove i morti per il maltempo sono  quattro. Massimo Marrelli, manager in ambito sanitario privato della Regione, è stato sepolto vivo insieme ai suoi tre operai durante un lavoro a una condotta fognaria aIsola Capo Rizzuto, in provincia diCrotone. Il 9 ottobre di 55 anni fa avveniva ildisastro del Vajont. 260 milioni di metri cubi di roccia si staccarono in blocco dal Monte Toc, dietro la diga del Vajont, crollando nell’omonimo lago. Quattro minuti di apocalisse che provocarono la morte di1917 persone. Dopo lunghi dibattiti, processi e inchieste, la responsabilità cadde sui progettisti e dirigenti della SADE (ente gestore dell’opera della diga del Vajont fino alla nazionalizzazione) che nascosero l’incoerenza e la fragilità morfologiche dei versanti del bacino, scopertosi in seguito non idoneo per un serbatoio idroelettrico di quella portata. “L’Italia non dimentica le vite spezzate, l’immane dolore dei parenti dei sopravvissuti, la sconvolgente devastazione del territorio, i tormenti delle comunità colpite. Neppure può dimenticare che così tante morti e distruzioni potevano e dovevano essere evitate”. Questo il commento del Presidente della RepubblicaSergio Mattarellain occasione della commemorazione dalla tragedia del Vajont. Unatragedia annunciata, resa ancora più infame dall’indifferenza nei confronti dei geologi che avevano preannunciato l’eventuale catastrofe. Le cose da allora non sono cambiate. Igeologidi oggi rimangono inascoltati, come accadeva a quelli di ieri. Identica l’arroganza dei politici che non si curano del territorio, invariata la supponenza di progetti ritenuti inarrivabili anche se basati inevitabilmente, necessariamente, su approssimazioni, e perciò non monitorati e manutenuti con la dovuta attenzione. La memoria collettiva segue percorsi ricorsivi. Con il tempo,i ricordi tragici si attenuano,immagini inquietanticome quelle degli yacht in frantumitendono a confondersitra le macerie passate. Alcune, come quelle del Vajont,vengono iconizzate,smorzando parte del loro potere perturbante. È fisiologico. C’è un tratto trasversale e comune a questi atteggiamenti, proprio della cultura dell’ottimismo, che è tipicamente italiano, certo, ma fisiologico a ogni nazione inevitabilmente tenuta a misurarsi con l’imponderabile, l’emergenza, la casualità. Lo si potrebbe definire“istinto di sopravvivenza nazionale”, che in parte trae forza dal dubbio più o meno verbalizzato di chi rimane, ricorda, e sa che il motivo per il quale l’ennesima tragedia lo ha risparmiato non è dato a sapere. Ciò però non può e non deve esimere dal porsi una questione:un Paese impreparato al maltempo, può dirsi civile?