I TEMPI DELLA MATERNITA’
L’emendamento approvato è, diciamolo per quel che è, un obbrobrio. Perché donne che lavorano fino all’ultimo istante, fino alle doglie, ce ne sono eccome, e sono tutte quelle che combattono con la partita Iva, che il lavoro se lo portano a casa, che hanno il cottimo in tutte le sue più stravaganti forme moderne. Sono tutte quelle che non possono fare diversamente, perché hanno paura di perdere la loro fonte di reddito e che, dopo aver partorito, riprendono a lavorare con il bimbo al seno: dove vivono gli onorevoli che hanno votato quell’emendamento, la conoscono la realtà? E poi certo, ci sono anche donne che si portano la gravidanza benissimo e che magari fanno shopping anche alla 37esima settimana… e ci sono anche lavoratrici che avrebbero piacere di “risparmiare” qualche giorno da sfruttare poi insieme al bambino. E che, oggi, con le leggi che abbiamo, lo fanno: basta, per esempio, non trovarsi in un’azienda ottusa che ti impedisce di prendere le ferie (e aziende ottuse ce ne sono)… “Cosa volete che serva una donna incinta in un’azienda?”: eccola la domanda pelosa dei paladini del nono mese. E a cosa serve una cassiera di supermercato con il tunnel carpale infiammato – il polso fasciato (e con i clienti che le danno una mano a spostare i prodotti)? Chi ha un contratto precario non può mollare il lavoro, per malattia o maternità che sia: non la richiamano, semplicemente. Ma dove vanno a fare la spesa gli onorevoli che hanno proposto e votato questo emendamento? Ci sarà qualcuno che si è preoccupato di sapere se è questo che le donne vogliono? Oppure è un’ennesima toppa al fatto che non ci sono asili e allora meglio che mamma stia a casa finché il bimbo ha svezzato? Loredana Taddei è stata la prima ad alzare la voce, a nome della Cgil: “La maternità non si sostiene facendo scomparire l’obbligo di astensione dal lavoro prima della nascita, così non si garantisce la libertà alle lavoratrici, né tantomeno si tutela la salute della gestante e quella del nascituro. Per queste ragioni l’emendamento alla manovra della Lega va immediatamente modificato. Quanto proposto mina la libertà delle donne, soprattutto di quelle più precarie e meno tutelate, che in Italia, purtroppo, sono sempre più numerose e rischierebbero così di trovarsi di fronte a veri e propri ricatti del datore di lavoro”. Attaccare la legge sull’aborto, impedire le separazioni con il disegno di legge Pillon (che ancora non scompare dai tavoli, nonostante le proteste delle donne), ora la “possibilità” di lavorare fino al nono mese che rischia di diventare l’obbligo di lavorare fino allo stremo: è così che questo governo intende incentivare la natalità, garantire le famiglie, senza mettere mano al portafoglio, ai servizi, agli aiuti concreti, agli sgravi fiscali? Se volevano dare alle donne (e ai loro compagni!) la possibilità di stare più a lungo coi figli, bastava allungare il periodo di maternità. Per altro, ci sono già aziende che nei contratti integrativi prevedono quattro mesi di astensione dal lavoro dopo il parto. E non sono fallite.
